Living for today
Stefano Dondio CagolIL RACCONTO
Saremmo vissuti per sempre o le nostre vite si sarebbero disciolte in solitarie pozzanghere di vicoli isolati, per poi evaporare senza un senso in disordinate molecole d’acqua? Avremmo cosparso con la nostra polvere i ricordi sbiaditi delle persone incontrate o saremmo caduti in oscuri antri come lascivi vagabondi privi di meta e scopi?
Saremmo vissuti per sempre….?
La sua giovane mente non riusciva a chiedersi altro. Esisteva un infinito numero di quesiti che popolavano i suoi neuroni ma le uniche domande che ridestavano le sue sinapsi provocando cupe reazioni a catena, ormai incontrollate, erano le stesse da tempo. Era uno stato anormale quello in cui stava vegetando, a metà fra la depressione e la paura, condito da un profondo senso di vomito che gli catturava la bocca dello stomaco ogni volta il pensiero deviasse da tutte quelle piacevoli distrazioni adolescenziali, qualcosa come un mioma nascosto e vivo dentro lui che lo stava divorando.
Idiota.
O così si definiva ogni volta che ripensava a sé stesso.
Ridicolo.
Era questo che gli altri pensavano di lui?
Le note violente di Nervous Breakdown stavano ravvivando l’atmosfera della piccola stanza da letto e contemporaneamente infastidendo la famiglia dell’appartamento vicino. Stefano lo sapeva benissimo, ma non poteva rinunciare alla potenza sovrumana che emanavano quelle caleidoscopiche melodie. Pulsavano come un cuore vivo e risplendevano come un astro celeste, perchè riflettevano le emozioni velate che troppo spesso gli uomini nascondono per non sembrare deboli. Adorava il punk perché rinnegava quella società che lo aveva tradito e sfruttato, perché era scritto da gente come lui che non voleva fermarsi alle apparenze ma scavare e trovare un maledetto senso per tutto.
Erano quelli i veri cantautori per lui, quella vera musica anche se agli altri appariva come rumore privo di sensazioni. Pochi erano i momenti di salvezza dalla greve aria quotidiana che era costretto a respirare.
Ma si era fatto tardi e il rischio di perdere l’autobus incombeva imminente. Presa l’inseparabile borsa tracolla e sfidando i limiti delle leggi fisiche si precipitò fuori casa abbozzando un flebile ciao valido per tutti i componenti della famiglia.
Era difficile dire cosa esattamente non andasse in quella vita tranquilla, perché tutto funzionava nella norma. Ma per un qualche caso inspiegabile tutti i problemi e le domande del mondo si ammassavano disordinatamente in quella testa e per un piccolo cervello adolescenziale pesavano come macigni. Ragazze, ingiustizia, rapporti umani, sensi e controsensi, sesso, realtà e fantasia, persone, volti, caratteri e comportamenti… era veramente necessario tutto questo? Era così indispensabile e vitale?
Proprio un bel casino. Cercare di riordinare, di rispondere a quelle domande era impossibile dopo un secolo, figurarsi per un piccolo essere umano che aveva trascorso solo diciotto luridi anni. Il cielo che era così azzurro fuori dal finestrino lo schiacciava al suolo facendolo sentire appiccicato a questa terra come un moscerino al parabrezza di una macchina. Sensazione di merda. Sentirsi così quando si dovrebbe spaccare il mondo e tutto ciò che sta attorno era proprio da idioti.
Era un punk ed era felice di esserlo, anche se dall’aspetto trasudava l’aria di una bravo ragazzo… ma punk non implica necessariamente violenza, e lui ne era convinto. Era fedele da tempo allo straight edge cantato da Ian Mackaye, e nulla lo avrebbe distolto da quella filosofia di vita. Niente fumo, niente alcool e nessun rapporto occasionale. Così voleva vivere e nessuno o nessuna finora lo aveva allontanato da quell’atipico voto compiuto in segreto.
Una frenata ridestò quel ragazzino perduto nelle sue fantasie: capolinea. Scese pigramente e si guardò in giro, cercando quel pazzo di Jason. Eccolo lì seduto su un marciapiede intento a rollarsi una sigaretta. Dopo i saluti di rito e le classiche ed ormai abusate domande di convenienza, via a cercare un posto tranquillo dove parlare. Era molto particolare il rapporto che legava quei due coetanei conosciutisi per caso in un bar della città. Non che avessero molto in comune oltre al punk ed un paio di mangaka che apprezzavano entrambi, ma stranamente erano recipro-camente attirati dalla personalità dell’altro. Vigeva un tacito rispetto fra quei due giovani incompresi suggellato da qualche incontro settimanale con relativa sbornia da birra (si sa… essere straight edge è molto difficoltoso…).
- allora, com’è con quella tipa? - cominciò Jason.
-
che tipa? – rispose Stefano.
- dai, quella che ti sta facendo
impazzire da settimane… quella… -
-ah, si… ma
chi se ne frega… ce sono tante altre in giro, cazzo… -
-
buca anche ‘sta volta! – Jason sapeva che ormai era
un classico.
-si… senti… -
- che hai? lo sai che oggi sei più strano del solito -
- primo, io non sono strano -
In realtà Stefano adorava letteralmente il fatto che la gente
lo considerasse strano. L’anticonformismo era per lui una priorità che
veniva prima di tutto.
- secondo… -
- secondo? -
- secondo te noi vivremo per sempre? Dimmi che almeno tu hai un risposta… -
- sorry, ma non mi pare di essere avvolto da un fascio di luce e
essere chiamato con il nome di Dio, di conseguenza… -
- non c’è da scherzare… - Stefano era infastidito
dal sarcasmo che l’amico si portava dietro con menefreghismo.
- credi sia facile avere una risposta per tutto – sbottò Jason.
- no, se lo fosse non farei l’idiota e smetterei di preoccuparmi,
ma
come cazzo faccio? -
- hai mai letto Emerson, tipo Self-reliance?
-
- si, cioè, no… credo forse un estratto o roba simile
-Jason allora estrasse un piccolo libro verde.
- ecco, leggitelo e poi ne riparliamo -
- risponderà alle mie domande? Mi dirà se ho un fottuto
futuro davanti a me? - chiese Stefano.
- nessuno può rispondere e non puoi avercela con il mondo
per que-
sto… -
- sì che posso, cazzo, perché è colpa
di questo mondo di merda se tutto va così -
- ne sei sicuro? Hai presente l’entropia?
- risparmiami le tua cazzate
di fisica! Che stronzo…
In realtà conosceva bene il concetto secondo cui la natura tende la disordine, ma si rifiutava di accettarlo per le sue convinzioni troppo razionali. La conversazione proseguì su questi toni per poi deviare logicamente su Bad Religion, Black Flag, Pennywise, credenze adolescenziali e ragionamenti pungenti più qualche ricordo sporadico dell’ultima sbronza.
- sai… - riprese Jason - siamo all’inizio dell’ estate
e agli sgoccioli delle nostre vite –
- ti metti a citare Salt Lake City Punk!,
adesso… pure
storpiandolo –
- si, perché è dannatamente vero… -
Aveva ragione, era solo il principio di luglio e l’anno prossimo
sarebbe stato l’ultimo delle superiori. Erano proprio gli sgoccioli
delle loro vite studentesche e nessun messia aveva risposte per il loro
futuro. Erano spaventati tutti e due e dannatamente convinti che prima
o poi tutto sarebbe finito e sarebbero ricaduti nella mediocrità senza
la possibilità di affermare “sì, ho avuto tutto il
tempo della mia mia vita”, come ricordava Billie Joè.
- grazie
per l’incoraggiamento… comunque devo avvicinare
proprio andare ora – concluse Stefano.
- fattene una ragione, noi
siamo così e nessuno potrà mai
cambiarci –
- noi siamo invincibili… -
Saluti di rito… che
bella convinzione per due confuse menti pronte a sacrificare sé stesse
per qualche ideale che rasentasse la follia. Potevano sembrare patetici
e scontati, ma erano gli unici a capire qualcosa del mondo, o almeno
stavano iniziando a farlo.
Preso posto sull’autobus, che ricordava più una calda serra
olandese che un mezzo destinato al trasporto pubblico, più per
curiosità che altro, infilò la mano nella inseparabile
borsa tracolla e tirò fuori quell’ ammasso di carta e parole
che gli aveva prestato Jason. Difficile da credere, soprattutto per uno
che oltre ai manga giapponesi non andava più in là delle
didascalie delle foto sui giornali, ma Stefano lesse quel saggio tutto
di un fiato, senza saltare una parola, sia in inglese che nella sua traduzione
in italiano. Era magnifico come un uomo di due secoli fa riuscisse a
canalizzare un energia tanto viva nella sua forma di espressione
senza risultare per forza anacronistico e ripetitivo. Ricordava proprio
quei punk che si facevano strada fra i giovani con le loro idee semplici
e dirette.
La formula era semplice: fiducia in sé stessi. Ma come si poteva
trovare, come si poteva creare in un adolescente saturo di dubbi e malessere
sociale? Come risolvere queste questioni?
Non rimaneva che vivere… forse
era davvero l’unica soluzione.
L’estate trascorse rapida fra una strana apatia diversa da quella solita cappa estiva che caratterizza i giorni troppo caldi. Tuttavia, l’aria si stava facendo più respirabile per Stefano. Quel mioma atipico stava regredendo spontaneamente e la consapevolezza di essere alla resa dei conti lo aveva rinvigorito: che ora fosse veramente invincibile? Come si spiegava questo repentino cambiamento? Che Emerson fosse davvero un provetto medico?
Era settembre inoltrato e le prime foglie gialle erano comparse sugli alberi, pronti a prendersi il loro meritato riposo invernale. L’autobus era la capolinea e Jason lo aspettava al solito posto. Saluti di rito…
- ho letto il libro che mi hai prestato. Almeno dieci volte! –- e… -
- sai… non credo che abbia ragione su tutto, ma mi ha fatto pensare -
- è un record… - accidenti a quel sarcasmo…
- si, c’era qualcosa che non andava, ed ero io! Ero troppo
concentrato su tutto il resto tranne che su di me. Ma ora è ok… e
tu? – riprese Stefano.
- io l’ho sempre saputo, credo… ma mi ci è voluto
un po’ per capirlo veramente! -
- perché la vita non può essere
come una fotografia, dove tutti rimangono felici e sorridenti per sempre
senza preoccupazioni o malesseri? - chiese a Jason quel ritemprato
biondino, così,
d’improvviso. - perché sarebbe irreale. Le fotografie
non sono altro che forzature della realtà dove si piega il tempo
alle nostre necessità. Sono finte, Stefano, ingannatrici… -
Quanto
aveva ragione. Quanto era doloroso ammetterlo.
- e adesso noi a che punto siamo, maestro? -
- siamo agli sgoccioli dell’estate e all’inizio delle
nostre vite, non credi? -
- e perché no… - concluse con
un sorriso Stefano.
In fondo era vero, ormai erano arrivati alla resa dei
conti ma sapevano che non sarebbe finita tanto presto. Si stavano convincendo
che le domande senza risposta che assillavano i loro distratti cervelli
erano utili solo a chi volesse sprecare il tempo prezioso che era stato
loro concesso.
- forse stiamo crescendo…? – disse Jason.
- no, non credo… come
possono i punk crescere? Noi non siamo come gli altri… -
- è vero, siamo più brutti… -
Risate fragorose riempirono
l’aria per i brevi attimi successivi,
senza
che fosse richiesto un senso.
- Jason… -
- si? -
- promettimi che non smetteremo mai di sorridere, mai di ascoltare
punk e cercare ciò che ci rende felici! – aggiunse Stefano.
-
promesso, maestro… -
- non è che ho esagerato… -
- credo proprio di sì,
cazzo! -
Risate, risate fragorose che riempivano quegli animi dispersi e
dissoluti senza legami né obblighi. Potevano sembrare patetici e
scontati, ma per loro erano scoperte nuove, sensazioni di fiducia che non
potevano essere comprate o trasmesse, ma andavano vissute e cercate e vissute
ancora una volta per poter cancellare quel senso di sofferenza ed inquietudine
che li aveva lacerati fino ad allora.
- ora devo andare -
- alla prossima, e fatti sentire mi raccomando… -
disse Stefano.
Era felice e guarito, ma non del tutto. Stava veleggiando
in una fase di convalescenza post-adolescenziale sopraggiunta all’improvviso
con un senso di benessere che lo avrebbe accompagnato per molto o molto
poco, è difficile da dire. Ora era tutto nelle sue mani, e se
ne era accorto in ritardo, come per ogni cosa nei suoi diciotto e sempre
meno luridi anni. Aveva sciolto il nodo che portava alla gola e calmato
gli istinti suicidi e le tendenze autolesioniste.
- sai, è vero, siamo solo all’inizio… ed è davvero
divertente! - sussurrò Stefano, di spalle, mentre se ne andava.