Dafne
Maddalena GrazianoIL RACCONTO
Le finestre vengono aperte, le tende scostate, le luci spente. La luna è tagliata a metà: come un miele trasparente e filante, si sparge nella stanza. A poco a poco, Dafne si abitua alla penombra e le forme si ricompongono nei suoi occhi. Le chiazze luminose delle mani, la parete vuota, le finestre spalancate, gli alberi e laggiù, denso, violaceo, laggiù il cielo, con i suoi ronzii e le sue fresche bianche stelle.
Buio improvviso. Dove si trova. E’ stata un’idea della padrona di casa: la luna è così bella. Spegnete le luci, scostate le tende, guardate-la. Così la ragazza, come ha detto di chiamarsi, Dafne?, ora nell’oscurità è riuscita a sfuggirgli. Eccola, in fondo, nell’angolo. Seduta. E’ immobile, le pieghe del suo vestito chiaro le incorniciano la pelle traslucida - come una fiala di vetro, un animale in attesa nell’erba. Non si accorge della gente che affolla la stanza? Cosa guarda? Non parla. Avvolta in quelle lunghe sciarpe, sembra estranea a tutti, forse appartiene ai sogni e alla notte che fluttua, ha un viso aguzzo, lunare, orecchini d’argento - non è bella, pensa lui, ma se raccogliesse i capelli. E immagina di toccarle il collo e le spalle nude.
Tra loro si snoda uno strano filo: è il percorso dello sguardo
di quell’uomo, che attraversa gli spazi intricati della stanza
e fra le teste degli invitati cerca la sua. Ma lei si sottrae e si immerge
ancora di più nelle sue sciarpe, stringendosi le braccia fino
a quando le nocche sbiancano.
L’inseguimento è iniziato poco prima, quando li hanno presentati.
La festa è affollata, ma lei sembra non conoscere nessuno. La
padrona di casa ha appoggiato il suo calice da qualche parte e li ha
avvicinati. Lei ha allungato la mano con la diffidenza delle creature
del bosco. Lui sapeva di profumo e autostrada. Ha aperto un paio di bottoni
della camicia - sa di avere la bellezza degli dei, e voleva liberarla
- le ha appoggiato la mano sulla spalla, le ha offerto qualcosa da bere,
ha avuto l’impressione di esserle piaciuto. Dafne non ha provato
che spavento. Quando sono state spente le luci, non ne ricordava già più il
nome e a tentoni, nel buio, ha tastato il tavolo, le sedie, rovesciando
i bicchieri, finché ha trovato una tana in quell’angolo
e si è nascosta. Eppure sente lo sguardo piantarsi nella sua fronte
e stracciarla come alla ricerca di una qualche verità. Non si è ancora
accorto che spetta inevitabilmente ad un altro mondo? Lei percepisce
il proprio corpo in modo diverso, esasperato, questa sera. Le accade,
a volte. E’ imprigionata. E la realtà la circonda, la attira
a sé. Come un oceano i cui lunghi pesci la toccano da ogni parte.
Come un labirinto dalle molteplici facce che si aprono le une alle altre.
E’ pura e indefinita come la vita che le si avvolge vorticosamente
intorno. La materia si rinnova attimo dopo attimo, gli astri seguono
percorsi di geometrie incalcolabili, l’armonia dei fenomeni risponde
solo parzialmente ai linguaggi dell’uomo, e una voce emana dalle
cose: un’esistenza sotterranea che nuota senza sosta
- l’energia sboccia dal ventre profondo delle stelle e fluisce
nelle arterie di piante, animali, uomini e dei, nella terra e nel cielo,
in uno spazio che trasforma, mescola, disperde ed eternamente recupera
i propri frammenti. La morte non è più misteriosa del confuso
germinare della vita. Dov’è possibile rinvenire dei segni?
Dafne guarda le linee delle proprie mani, poi solleva lo sguardo oltre
la finestra. Ovunque: nella forza segreta che guida l’acqua fino
al mare, l’insetto sul fiore, la materia gassosa verso il fondo
pesante delle galassie. In questa pulsazione lenta e oscura che affiora
dai fondali dei corpi, sotto lo scorrere delle loro correnti, dietro
il frastuono dei loro gorghi, come il passaggio di una creatura immensa
e primitiva.
A volte avverte un mutamento, o forse solo il principio di un mutamento,
o forse il presentimento di uno degli infiniti mutamenti possibili. Può diffondere i sensi segregati nel suo corpo: disperdere
sé stessa. Le forme sono così labili. La luna può leccarle
con i suoi fluidi perlacei, come fa ora in questa stanza. Le invade,
le unge, le svela. Sono più autentiche, mille volte più autentiche,
adesso. Finalmente assolute, sconfinate, vive. Tutto oscilla. E Dafne
vuole affondare i piedi nella terra, percepirne la forza d’attrazione,
la solida schiena rotonda. Diramarsi in foglie e radici, annodarsi
al cielo e al suolo. Come una pianta: stendersi ed essere afferrata
da tutte le mille mani che premono gli esseri verso il cuore roccioso.
Come un fiore: avvertire con la punta delle radici trasparenti il
calore gonfio e nero di cui fa parte. Allora sboccerà e si
allargherà attorno al bulbo denso, impossessandosi dello spazio,
versando le sue immense spirali oscillanti nella notte, folle del
suo roteare multicolore nell’aria, del suo immergersi nell’oscurità smisurata
del ventre. Il terreno la conterrà, verde, ricco, pieno di
acqua grigia e lei potrà sentire sotto di esso ribollire la terra
e scorrere il cielo in flussi e riflussi sopra di esso. Dappertutto
intorno a lei i corpi di piante e insetti vibreranno dell’energia
che li sovrasta e dei loro stessi ronzii. Li sentirà ubriacarsi
delle loro ali, dei loro suoni, delle loro corolle esaltate di colori:
vivrà con loro. Allucinata. Vacilla. La pelle brucia. Si appoggia
al tavolo, per non perdere l’equilibrio. Lui la sostiene, la
abbraccia. Si sente male? Non si accorge che lei non riesce a rispondere.
Onde inaccessibili la attraversano, la permeano. Vuole uscire?, Prendere
un po’ d’aria? No: sta passando. I precipizi si sono
appiattiti di nuovo, non vorticano con le loro punte vertiginose.
Le onde indietreggiano e le dimensioni si ritirano all’interno
dei confini abitua
li. Allora?, Sta meglio?, Bene, lasci almeno che la accompagni fuori.
La sta osservando con distacco, paura perfino. Lei ride. Ecco. Percepisce
di nuovo la propria bocca, i propri muscoli che si flettono, le labbra
che si allungano nel sorriso. Tutto questo è suo. E lui può toccarla,
baciarle la fronte. Una sottile frontiera li separa, separa l’interno
dall’esterno, lo spazio colmo dall’abisso. Con quanto dolore
se ne rende conto. E’ nuovamente, sempre, sé stessa, fino
agli angoli più distanti, negli spigoli d’ombra del suo
corpo: ma non oltre. Dov’è il varco, appeso nel vuoto
inaccessibile - dov’è lo spiraglio nel quale infilarsi
- in che modo svanire del tutto, scivolare nel cielo nero azzurro.
Sono usciti all’aperto: è fresco, respirano. Finalmente. L’aria è densa dell’odore del sale. Brucia la gola. Il mare non è lontano: là, in fondo, dietro gli alberi, ne arriva quasi il mormorio. O sono le foglie? Lui la osserva. Non è stato facile afferrarla: lei ha indossato un volto inviolabile, muto e nudo come la terra. Il vento ora le stende i capelli come una bandiera lucente e lei guarda altrove, verso la luna esilissima. Le assomiglia: non si lascia avvicinare. Dovrei andarmene, pensa lui. Eppure. Sente di essere sul punto di stringerla, di riportarla all’interno di quel limite che lei sembra voler valicare. Ma dove si trova, di quale mondo fa parte? Perché è evidente che non è fatta della stessa consistenza di cui sono fatti tutti gli altri.
Il labirinto infine si è dato la soluzione: potevano essercene altre, all’infinito. Ma la distesa limpida e liquida di possibilità è cristallizzata per sempre. Un solo presente precipita con tutta la sua violenza su di lei. Tangibile, solido, imperscrutabile come un pozzo limaccioso. Lui la accompagna a casa, perché è molto tardi ormai e gli invitati sono andati tutti via. Senti, i grilli, dice Dafne. Può accadere che sulla porta lo baci. O gli chiederà di incontrarsi domani, verso sera, vicino ad una certa panchina, al parco. Forse lui le porterà un libro e le leggerà qualche poesia di Hölderlin o di Rimbaud. Forse lei fuggirà per sempre, o forse gli lascerà un biglietto e, quando lui l’avrà trovata, piangerà. Lei gli appartiene ormai. I confini tra gli esseri sono ristabiliti. Ha perduto un mondo, vive in questo: reale. Forse. La luna è ancora incerta, ha ancora lunghi fili di luce e tesse visioni. Le trame possibili continuano ad intrecciarsi e proiettarsi tutto attorno, insieme alle ombre dei rami, ai corpi viventi, alle forme germogliate dalla notte.