Dolce Amalia
Giuseppe DisnanGiuseppe Disnan
Nato a Udine nel 1952, vive a Pergine Valsugana (TN) da diversi anni. Laureato in psicologia, lavora come psicologo nel Servizio Pubblico della Provincia di Trento e svolge attività di insegnamento presso l'Università di Padova. Ha pubblicato alcuni volumi su temi di psicologia e psicopatologia.
LE MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
Nella monotona ma non per questo meno drammatica quotidianità di una Casa di riposo, per il tramite di un ignaro testimone vengono delineate le identità di una figlia assente, opportunista e ipocrita, e quella di Amalia, un'anziana donna che non esita a barare per difendere la propria serenità. Una bella sensibilità di visione e di scrittura accompagna il lettore fino alla sorpresa finale, ben preparata e inattesa, che dà luce e peso al racconto.
IL RACCONTO
Subito quell’odore dritto alla testa.
Un misto di detersivi disinfettante
muffa cancrena.
Metà odore e metà paura.
Metà fastidio e metà impressione,
fantasia, suggestione.
Ma c’è, dio se c’è.
- Posso fare qualcosa per lei?
Non se n’era accorto, la suorina era sbucata da dietro una porta
a vetro smerigliato; piccola e bianca, e senza età come tutte
le suore prima di diventare vecchie e basta.
- Cercavo la signora Amalia
Zen, dovrebbe essere qui da voi.
Si trattenne in tempo dal dire “ricoverata”, all’ultimo
momento gli era sembrato troppo brutto, troppo da ospedale.
- Ah l’Amalia, certo, ma non la conosco, è un
parente?
- No no, sono qui per conto, insomma me lo ha chiesto sua figlia.
-
La figlia, Luciana mi pare, quella che vive a Palermo. L’unica
figlia. L’ha vista di recente allora.
- Sì l’ho incontrata e conosciuta per caso, e quando
ha saputo che sarei venuto da queste parti mi ha chiesto il piacere
di passare da sua madre. Lo faccio con piacere, anche se l’ho
appena conosciuta, ma mi pareva che ci tenesse e che le dispiaccia
molto di non poter venire lei di persona. Credo sia diverso tempo
che non può farlo.
- Molto, sì molto.
Silenzio.
- Scusi sorella, se mi vuol dire…
- Ah certo, mi perdoni, ma attenda un attimo chiamo Giacomo e la
faccio accompagnare.
- Non ce n’è bisogno, non vorrei
disturbare, basta che mi indichi…
- No, nessun disturbo, ma è meglio così, le spiegherà tutto
lui. Attenda per favore, questione di un attimo.- E si infilò di
nuovo dietro la porticina da cui era comparsa.
L’edificio era appena fuori del paese, un po’ in salita,
a ridosso della montagna. Da lontano la solita grande struttura bianca
con tante finestre e poggioli minuscoli, che non può che essere
un istituto un ospedale o una casa di riposo. Il paese era troppo piccolo
per un ospedale, e non aveva mai sentito parlare di istituti da quelle
parti.
Aveva subito pensato a quelli che fanno fatica a camminare, a come
potevano fare ad affrontare quel dislivello.
Poi, arrivato sulla porta,
attraverso un vialetto di cemento tra qualche aiuola segnata da pietre
grezze, era rimasto a fissare un paio di carrozzine un po’ sgangherate,
parcheggiate evidentemente in attesa degli ospiti non deambulanti.
Ospiti
non deambulanti. Una volta erano vecchi invalidi, adesso tutto andava riconvertito
a linguaggi più conformi, pertinenti, asettici.
Anziani, ospiti, deambulanti, non autosufficienti; c’era stata
come una collisione nel suo cervello tra parole evocate, piene di senso
ed emozione, ed espressione corretta, asettica, pubblica.
Non ci era mai
entrato prima in una casa di riposo - o poteva dire ricovero, ospizio?
- ma da qualcuno ne aveva sentito parlare. Della merda da pulire continuamente,
o dell’odore di piscio che ti insegue dappertutto,
delle bocche sdentate e bavose da imboccare, delle urla di quelli non
sedati.Aveva sempre ascoltato con un po’ di fastidio e poi subito rimosso,
come si fa con le cose che possono riguardarci ma che è meglio
allontanare fin quando è possibile.
E adesso quel fastidio e quella
paura erano lì, dimenticati e
trasferiti altrove fino a un attimo prima, e di nuovo invece padroni
del campo, con tutte le parole che si trascinavano dietro, vecchio, cancrena,
morte……
- Buon giorno, sono Giacomo. Piacere.
Fece quasi un balzo, non si era accorto del nuovo venuto, perso
com’era nei suoi pensieri.
- Allora mi ha detto suor Anna che lei è qui per l’Amalia.
Sui
trentacinque, sorridente, sicuro, uno che la vecchiaia la vede da lontano
e può farci i conti ancora con una buona autonomia. Una
specie di grembiule blu sopra i jeans, le maniche della camicia rimboccate,
occhi neri, che sorridono come la bocca, la mano tesa.
- Piacere – ricambiando la stretta di mano – sì sono
qui per conto della figlia della signora Amalia, mi ha chiesto…
- Sì sì lo so, voglio dire suor Anna mi ha detto. Se
mi segue l’accompagno.
Il solito lungo corridoio semibuio, con il
pavimento di un linoleum verdino, da un lato porte bianche, dall’altro,
finestre che danno su un cortile di ghiaia delimitato da un muretto.
Da
qualche porta semiaperta si intravedono stanzette con due letti, per lo
più vuoti: da una porta un lamento lungo e soffocato, cadenzato,
flebile. Vien voglia di guardare dritto.
- Magari mentre saliamo le spiego
come sono le cose.
- Ah certo, mi dica.
- Insomma l’Amalia non è sempre lucida, a volte non
capisce bene le cose, è un poco sorda, confonde. Non deve
farci tanto caso, non so se lei ha esperienza di anziani…
- No veramente..
- Ecco è per quello che glielo dico, se uno non è abituato
magari ci resta male o non sa come comportarsi. L’Amalia è una
persona tranquilla, sta seduta la maggior parte del tempo sulla sua
sedia, ma non è che sia molto presente, voglio dire sembra
che sia persa nei suoi pensieri, dice delle cose ma non sempre risponde
a tono.
- Strano perché la figlia…
- Può darsi che la figlia le abbia descritto una persona
un po’ diversa, ma d’altronde non la vede credo da cinque,
sei anni..
- Sì è lontana e poi mi diceva che tra lavoro,
famiglia…
- Appunto non è che ha seguito passo passo la situazione
quindi non può sapere tutto al millesimo.
Entrarono nell’ascensore per salire al primo piano, anche
lì quell’odore di chiuso.
- Lei comunque faccia come se capisse,
tante volte non sappiamo neanche noi che gli siamo vicini tutti i giorni
cosa riescono a capire e cosa si ricordano.
- Va bene.
Aaaaaaaaaaahhhhh aaaaaaaaaaahh
L’urlo proruppe improvviso da una porta non appena uscirono dall’ascensore.
-
Ancora la Pina. Mi scusi- e lo lasciò in mezzo al corridoio
mentre entrava nella stanza da cui proveniva quel lamento.
Sentì da fuori la voce dell’uomo, senza capirne le parole,
il lamento che si ripeteva, affievolendosi, qualche rumore di cose che
vengono spostate, poi sembrò acquietarsi tutto e Giacomo uscì dalla
stanza e gli fece cenno di seguirlo tre porte più avanti dove
si fermò ad attenderlo.
- Ecco ci siamo, la presento e poi vi lascio
soli, quando ha finito tiri
la corda accanto al letto e io torno a riprenderla.
Spalancò la
porta e fece un passo dentro,invitandolo a seguirlo.
- Ecco la nostra Amalia,
come va oggi la nostra nonnina?
Era la vecchina delle fiabe.
Quella nelle illustrazioni dei suoi libri
di bambino.
Seduta a gambe unite su una poltroncina rigida con i braccioli.
Minuscola.
I capelli tutti bianchi legati dietro la testa, composta, le
mani unite sul davanti, piccole anche quelle, due pantofole che spuntavano
da sotto una lunga gonna a fiori.
Gli occhi non si vedevano, non ancora,
era di traverso, quasi di schiena, e continuava a fissare la finestra,
come se non fosse entrato nessuno.
- Amalia, hai delle visite oggi. Forza,
questo signore è venuto
apposta per te.
Si era accucciato davanti alla donna mettendosi con
gli occhi al livello dei suoi, in modo che lei dovesse vederlo per
forza.
E sembrò funzionare perché Amalia, come risvegliandosi
da un sonno ad occhi aperti, fissò il suo interlocutore, il
volto si aprì ad un sorriso e mentre con la mano lo carezzava
sulla guancia sussurrò qualcosa che poteva essere un “ elto”.
- Ogni tanto mi scambia per questo Alberto – disse Giacomo – ma
non so bene chi sia per lei.
Poi volgendosi di nuovo verso la vecchina – Io
adesso vado e ti lascio con questo signore che deve parlarti.
Quindi
si alzò, ammiccò all’uomo
ed uscì dalla stanza.
- Amalia lei non mi conosce…
Ma appena iniziò a parlare si accorse che la donna aveva ripreso a fissare la finestra, come se lui non ci fosse.
Si inginocchiò allora davanti a lei, come aveva visto fare Giacomo,
e cercò i suoi occhi. Ne intercettò quasi subito lo sguardo,
e di nuovo come se scattasse un interruttore nascosto il volto di Amalia
si riaprì al sorriso e dalle sue labbra uscì uno strascicato – elto
-
No non sono Alberto, sono ..
-Elto- e gli carezzava il volto come aveva fatto poco prima con Giacomo.
Rideva adesso l’Amalia, come davanti a una sorpresa attesa da tempo
o a un incontro inaspettato imprevisto ed eccitante.
Rideva, continuava
ad accarezzarlo e a mormorare - elto, elto,
- Sono qui per conto di Luciana,
sua figlia, mi manda lei per dirle che...
Ma non c’era verso di fermare l’eccitazione di Amalia. Adesso
si agitava sulla sedia, qualche lacrima le stava rigando le guance, mentre
continuava a ridere con quella piccola bocca spalancata e la faccia rugosa
devastata dall’emozione.
Lo toccava, gli prendeva la mano.
- Luciana, sua figlia, si ricorda. Vuole
dirle che la pensa tanto anche se non può venire…
Provava ancora a fermarla sulle sue parole, ma era tutto inutile. La
donna era ormai preda di uno stato di agitazione intenso, ebbe quasi
paura che cadesse dalla sedia, e tenendola stretta ad una braccio tirò contemporaneamente
la corda per suonare il campanello.
Mentre Amalia sembrava lentamente placarsi, sentì dopo un poco
il rumore dell’ascensore in arrivo, le porte che si aprivano, dei
passi, e vide Giacomo che entrava nella stanza.
Si scambiarono uno sguardo,
lui fece un cenno di no con la testa, Giacomo fece l’espressione di chi vuol dire - lo sapevo, te l’avevo
detto-quindi si avvicinò ad Amalia e le parlò con calma.
Dopo
qualche minuto la donna era di nuovo composta e immobile, a fissare la
finestra, come l’avevano trovata quando erano entrati. Uscirono
in silenzio, senza guardarsi.
- Non si preoccupi, purtroppo di solito è così. L’avevo
avvertita.
- Non so cosa abbia capito, ma le ho parlato di Luciana, sua
figlia.
- Bene. Sicuramente prima o poi ricorderà qualche cosa. Vedrà non è stato
inutile, deve esserne convinto.
- E’ difficile crederci ma bisogna
proprio esserne convinti, non ci sono alternative.
Fuori la luce lo colpì come
una frustata sugli occhi.
Inspirò tutta l’aria che riusciva a catturare, come a volersi
depurare i polmoni.
Si accorse di camminare in fretta, più del
necessario.
Capì che stava scappando.
- Io non avevo briscola e ho dovuto
perdere tre punti.
- Per fortuna i carichi erano già usciti tutti.
- Forse ce la facciamo
lo stesso, ho contato fino a 54 punti poi ho perso il conto.
- Allora
Amalia hai vinto anche questo giro?
- Non so ancora Giacomo, dobbiamo
fare la conta. Ma dimmi tu. Questo com’era?
- Beh c’è rimasto un po’ male, non si aspettava
di trovare una come la Marisa, tua figlia deve avergli detto qualcos’altro
su com’è sua madre.
-Povera Marisa chissà se mi perdonerà di farle fare questa
finta, ma mi sa che come non può decidere così non se la
prende tanto.
- Di Luciana non vuoi proprio saperne.
- Quella schifosa non la vedo da
non so quanti anni e mi manda a salutare da questa gente che non conosco
come se fossi una cassetta delle lettere. E’ sempre stata capace solo di approfittare
e adesso tiene i contatti solo per interesse. Se sapesse dove sono
già finiti i soldi che si aspetta…
- Questo è il quarto,
mi pare…
- Non lo so e non li conto. Grazie di tutto comunque Giacomo.
Senza di te non avrei potuto cavarmela.
- All’inizio ero perplesso,
ma ora mi pare che hai fatto la scelta giusta. Buona partita Amalia, ma
qui non barare.
- Ne vale la pena solo per le cose importanti.