Temistocle Miracco
Maria Annita BaffaMaria Annita Baffa
Nata nel 1954 a S. Sofia d’Epiro (Cosenza). Residente a Trento dal 1986. Madre. Laureata in lingue e letterature straniere 110/110 e lode. Vincitrice del premio "Diego Arbizzani” per la miglior tesi di quell’anno (1978). Insegnante di italiano all’università di Konstanz (Germania) in giovanissima età e poi di inglese in Italia (Milano, Trento). Collaboratrice esterna del quotidiano "La Provincia Cosentina" dal 2000 al 2003 con commenti sulla politica locale. Attualmente dottoranda al II anno di Pedagogia presso la Libera Università di Bolzano (sede di Bressanone). Hobby: le lingue (TUTTE), nuotare, stare assieme agli altri e soprattutto assieme al figlio che adora.
IL RACCONTO
Ci trascorreva ore e ore Sofia nella casa che si costruiva da sola, accanto
alla finestra, nella stanza che, in seguito, sarebbe stata chiamata la stanza
di Cenza. Guardare dalla finestra le piaceva tanto, perché il sorriso dell’uomo
della finestra di fronte la rassicurava. E le piaceva estraniarsi da tutti. Cartone,
vecchie coperte, i materiali per costruire un rifugio provvisorio non
mancavano mai. Sofia aveva proprio deciso di vivere separata in casa e di fare
come il nonno, che sentiva solo quello che voleva. Per il resto, il nonno sosteneva
di essere sordo.
Nei pomeriggi estivi, quando il caldo diventava insopportabile, tutti riposavano
o così facevano credere ai bambini.
Sofia si allenava "me gurzit”, i cinque sassi ben levigati che ogni bambino
teneva sempre con sé. Scelti con cura, a misura di mano di bambino e
ognuno possedeva i suoi come una rarità, benché il paese, in quel periodo,
fosse pieno di sassi. E infatti quando Sofia si divertiva a tirarne con la fionda
non aveva che l’imbarazzo della scelta. In quel caso, infatti, i sassi li sceglieva
belli grossi, perché lei i bersagli li vedeva sempre come nemici. Ma
dentro la "casa”, nei pomeriggi afosi, si divertiva anche a leggere poesie. Ne
imparava tante a memoria. Aveva l’impressione che le poesie spiegassero
meglio i fatti della vita, con poche parole raccontavano storie lunghe, lunghe…
come quella della "cavallina storna che portava colui che non ritorna”.
Per Sofia colui era colei. Era la mamma che era morta da poco tempo e Sofia
amava immaginare una cavalla che, tornando indietro, avrebbe cercato e riportato
colei che era così bella e così forte, e che l’aveva portata in braccio
fino all’età di sei anni. Una coperta copriva le gambe. O forse la mamma era
stata più bella che forte? Che importa! Tanto una cavalla è sicuramente più
forte di una madre e ce l’avrebbe fatta a portarla indietro. Anche nella storia
di Kostandini e Jurendina un morto era tornato, una sola volta, intendiamoci,
per mantenere besen (la promessa), ma era tornato. Sofia era
convinta che sarebbe stato così anche per la sua mamma.
Capitava pure che nella "casa” si addormentasse e poteva trascorrere
anche l’intero pomeriggio prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza.
Veramente si addormentava anche altrove, fuori sui gradini di casa. Una volta
l’aveva trovata il signor Temistocle e poi l’aveva portata in casa in braccio equando lei si era svegliata lui aveva scherzato facendola divertire. Le sorelle
invece non la divertivano mai e quando dovevano mandarla a fare qualche ambasciata,
la sorella Co’ sapeva dove trovarla e farla uscire tirandola per i capelli.
Sofia non piangeva, andava… andava dove la mandavano. Tutti i
bambini dovevano andare, sempre andare dove volevano gli adulti. Così quel
pomeriggio Co’ l’ha mandata da zia Rosaria a prendere brumit.
Sofia non poteva correre ma questo non era mai stato un problema, l’importante
era correre con il pensiero… Le poesie, le poesie a memoria erano
la sua compagnia per strada, erano la sua corsa.
«…soffiano i venti, si muove la nave. Veloce! Veloce! Si squarcia l’onda,
si avvicina la lontananza, già vedo terra!» «Es teilt sich die Welle. Es naht
sich die Ferne. Schon seh ich das Land!»
E così tra una poesia recitata e il caldo soffocante, Sofia non si è accorta
dell’uomo se non quando gli ha rovesciato addosso brumit che aveva in
mano. Il piatto si è rotto e brumit, che sotto il sottile strato secco, era
umido e appiccicoso, emanava una tale puzza che per molto tempo, in seguito,
Sofia si è chiesta come da una puzza del genere le donne ricavassero
un pane così profumato! Laganet con olio, la focaccia con cingaridhe, le
"frese” che la mamma impastava assieme a zia Rosaria. Le sembrava di sentire
l’odore buono del pane, di rivedere la scala nella casa vecchia, la scala
di legno che subito dopo l’entrata portava al piano di sopra, dove c’era il
forno. Sofia non ha mai visto quel forno perché non poteva salire la scala.
Ma ricordava la mamma che scendeva e portava il pane caldo caldo.
Intanto l’uomo, sorpreso quanto lei, cercava di ripulirsi. Sofia chiuse gli
occhi perché solo il ricordo dell’odore del pane e della mamma le avrebbe fatto
sentire meno dolorosa la punizione. Aveva sporcato i pantaloni al signor Temistocle,
che apparteneva pure alla stessa gjitonia (al vicinato) e questo lo legittimava
ancor più a punirla. Aveva tanta paura. Il cuore le batteva forte forte.
Aspettava. Gli occhi chiusi. Solo il ricordo della mamma la tranquillizzava. Poi
ha sentito una mano sui capelli e ha sentito una voce dolcissima. Il signor Temistocle
aveva chinato il viso vicino a quello di Sofia: «lo sai che quando si
fanno le curve bisogna suonare bibiun?». La mano di lui è scivolata lungo i riccioli
di lei e in quel viso così vicino, così dolce, Sofia ha sentito per la prima
volta l’odore di un dopobarba o di una crema o di qualcosa di magico. In seguito
avrebbe cercato per anni lo stesso odore negli uomini, senza risultati.
Temistocle era l’uomo che l’aveva raccolta addormentata, l’uomo che le rideva
dalla finestra, che l’aveva aiutata anche quando lei aveva rotto il vetro
della finestra del bagno di Silvia. Certo, non l’aveva fatto apposta ma nessuno
le avrebbe creduto. Voleva colpire il cane Alì che dormiva proprio lì sotto e invece… Sofia, seguendo il suggerimento di Temistocle, che dalla finestra di
fronte aveva visto tutto, ha subito nascosto la fionda e fatto finta di niente.
Ma Temistocle era anche l’uomo della banca che qualche mese prima era
andato nella classe di Sofia mostrando cinquecento lire di carta nuove nuove,
che la banca metteva in un libretto per ogni bambino che, così, poteva cominciare
a risparmiare.
Prima aveva parlato il maestro ma nessuno aveva capito cosa fosse l’interesse
e il capitale e altre parole difficili, perché tutti guardavano i soldi.
Con cinquecento lire si potevano comprare dieci "carrarmati” al latte e cacao,
come quello che comprava Co’ qualche volta e poi ne dava a tutti un pezzetto.
Mangiarne dieci interi, che sogno!
Poi aveva parlato il signor Temistocle raccontando una storia divertente su
un risparmio che non si era mai avverato, facendo ridere tutti. Era la storia di
una signora che si stava recando al mercato a vendere una ricotta che portava
in un cesto sulla testa. La signora pensava che con i soldi ricavati avrebbe comprato
dei pulcini, li avrebbe cresciuti, venduti e avrebbe comprato una capra,
poi una mucca e via via, sarebbe diventata sempre più ricca finché tutti incontrandola
avrebbero dovuto dirle «Buongiorno signora», inchinandosi.
Così
pensando, la signora piegò la testa in segno di saluto e la ricotta le cadde dalla
testa, assieme ai sogni… Ridevano tutti, pure Temistocle. Infine ha distribuito
dei quaderni, anche quelli regalo della banca e tante caramelle.
Sofia aveva già visto le cinquecento lire di carta. Gliele aveva regalate
zia Rosaria al battesimo, l’anno prima. Si era battezzata da grande Sofia ed
era contenta, così nessuno poteva più dirle che era un diavolo. E si sarebbe
guadagnata la simpatia del prete che puniva per ogni piccola cosa! Pure se
uno faceva il segno della croce con tutte le dita il prete lo sgridava. Diceva
che bisognava usarne solo tre: pollice, indice e medio, tenuti belli stretti.
In verità Sofia non ha mai capito se era più importante usare tre dita qualsiasi
o per forza quelle che diceva lui.
«Noi siamo bizantini!» aggiungeva e
sempre con tono rabbioso. Ma che voleva dire? Sofia si sforzava di far vedere
che aveva capito, altrimenti la domenica pomeriggio non poteva presentarsi
alla distribuzione dei cioccolatini dalle suore. In queste occasioni
Sofia non mancava mai. Bisognava sempre dare per poter avere dagli adulti.
Temistocle però era diverso. Dava senza chiedere.
Ma quella notte, quando Marta e i figli gridavano, Sofia ha visto Co’,
Cenza e il padre precipitarsi fuori, correre nella casa di fronte. Quando i bambini
non potevano andare qualcosa di veramente grave era accaduto.
Morte improvvisa, dicevano nei giorni seguenti. Ma questo nelle poesie
non c’era. Che significa improvvisa? Tutto si vede: che i bambini nascono sivede dalle pance delle madri, la primavera si vede dai fiori. Chi ha dato il diritto
alla morte di arrivare improvvisa? E poi se proprio ci teneva la morte ad
arrivare, Sofia aveva sempre pronta una lista di nomi e il prete occupava il
primo posto. Sofia non sapeva, allora, che la morte, invece, sarebbe stata ingiusta
sempre e solo con lei. Sofia non poteva sapere. La morte di Temistocle
era solo l’inizio. L’uomo che l’aveva difesa, divertita, coccolata, perdonata.
Morte improvvisa.
E c’erano tutti: prima il prete antipatico, poi la bara, poi i parenti e gli
amici. Tanti. Sofia sentiva l’odore dell’incenso salire fino alla finestra, guardava
quella vuota, di fronte, ma non ha pianto. Sofia non piangeva mai. La
sorella Cenza invece piangeva. Così forte che Sofia è andata da lei, nella
stanza accanto. Ma perché piangeva Cenza? Quando era tornata dal convento
per occuparsi dei fratelli più piccoli non sembrava triste, però non era
nemmeno felice.
Dicevano tutti che era meglio così, ma lei non l’ha mai
detto. Aveva sempre un libro con la copertina nera che aveva portato da
Roma e continuava a leggere e a pregare. È così dunque, era triste, era sola.
Anche lei che era grande era sola. Sofia ha posato una mano sulla testa della
sorella per una coccola. Poi è tornata alla finestra. Il corteo funebre aveva
raggiunto la "Trapeza”, la finestra di fronte era vuota.
Qualche tempo dopo mastro Dino era venuto a parlare con il padre di
Sofia, parlavano piano, i bambini non dovevano sentire. Ma Sofia sentiva. La
finestra dicevano, quella della stanza di Cenza, bisognava chiuderla con dei
mattoni forati. E al centro una croce. Era meglio far presto, così tutti avrebbero
dimenticato, diceva mastro Dino.
Nessuno si sarebbe ricordato del fatto,
nessuno avrebbe guardato e non ci sarebbe stato più pericolo. Il padre annuiva,
piangeva. «Non fare così, bisogna farsi forza, altrimenti i bambini
potrebbero capire», diceva mastro Dino. I lavori sarebbero cominciati subito,
dicevano. Sofia voleva protestare.
Ma Temistocle non c’era più. E nemmeno Cenza. No, no, è meglio non
guardare dalle finestre.