Quinta edizione 2009 • segnalato seconda categoria

Temistocle Miracco

Maria Annita Baffa

Maria Annita Baffa

Nata nel 1954 a S. Sofia d’Epiro (Cosenza). Residente a Trento dal 1986. Madre. Laureata in lingue e letterature straniere 110/110 e lode. Vincitrice del premio "Diego Arbizzani” per la miglior tesi di quell’anno (1978). Insegnante di italiano all’università di Konstanz (Germania) in giovanissima età e poi di inglese in Italia (Milano, Trento). Collaboratrice esterna del quotidiano "La Provincia Cosentina" dal 2000 al 2003 con commenti sulla politica locale. Attualmente dottoranda al II anno di Pedagogia presso la Libera Università di Bolzano (sede di Bressanone). Hobby: le lingue (TUTTE), nuotare, stare assieme agli altri e soprattutto assieme al figlio che adora.

IL RACCONTO

Ci trascorreva ore e ore Sofia nella casa che si costruiva da sola, accanto alla finestra, nella stanza che, in seguito, sarebbe stata chiamata la stanza di Cenza. Guardare dalla finestra le piaceva tanto, perché il sorriso dell’uomo della finestra di fronte la rassicurava. E le piaceva estraniarsi da tutti. Cartone, vecchie coperte, i materiali per costruire un rifugio provvisorio non mancavano mai. Sofia aveva proprio deciso di vivere separata in casa e di fare come il nonno, che sentiva solo quello che voleva. Per il resto, il nonno sosteneva di essere sordo.
Nei pomeriggi estivi, quando il caldo diventava insopportabile, tutti riposavano o così facevano credere ai bambini.
Sofia si allenava "me gurzit”, i cinque sassi ben levigati che ogni bambino teneva sempre con sé. Scelti con cura, a misura di mano di bambino e ognuno possedeva i suoi come una rarità, benché il paese, in quel periodo, fosse pieno di sassi. E infatti quando Sofia si divertiva a tirarne con la fionda non aveva che l’imbarazzo della scelta. In quel caso, infatti, i sassi li sceglieva belli grossi, perché lei i bersagli li vedeva sempre come nemici. Ma dentro la "casa”, nei pomeriggi afosi, si divertiva anche a leggere poesie. Ne imparava tante a memoria. Aveva l’impressione che le poesie spiegassero meglio i fatti della vita, con poche parole raccontavano storie lunghe, lunghe… come quella della "cavallina storna che portava colui che non ritorna”.
Per Sofia colui era colei. Era la mamma che era morta da poco tempo e Sofia amava immaginare una cavalla che, tornando indietro, avrebbe cercato e riportato colei che era così bella e così forte, e che l’aveva portata in braccio fino all’età di sei anni. Una coperta copriva le gambe. O forse la mamma era stata più bella che forte? Che importa! Tanto una cavalla è sicuramente più forte di una madre e ce l’avrebbe fatta a portarla indietro. Anche nella storia di Kostandini e Jurendina un morto era tornato, una sola volta, intendiamoci, per mantenere besen (la promessa), ma era tornato. Sofia era convinta che sarebbe stato così anche per la sua mamma.
Capitava pure che nella "casa” si addormentasse e poteva trascorrere anche l’intero pomeriggio prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza.
Veramente si addormentava anche altrove, fuori sui gradini di casa. Una volta l’aveva trovata il signor Temistocle e poi l’aveva portata in casa in braccio equando lei si era svegliata lui aveva scherzato facendola divertire. Le sorelle invece non la divertivano mai e quando dovevano mandarla a fare qualche ambasciata, la sorella Co’ sapeva dove trovarla e farla uscire tirandola per i capelli. Sofia non piangeva, andava… andava dove la mandavano. Tutti i bambini dovevano andare, sempre andare dove volevano gli adulti. Così quel pomeriggio Co’ l’ha mandata da zia Rosaria a prendere brumit.
Sofia non poteva correre ma questo non era mai stato un problema, l’importante era correre con il pensiero… Le poesie, le poesie a memoria erano la sua compagnia per strada, erano la sua corsa.
«…soffiano i venti, si muove la nave. Veloce! Veloce! Si squarcia l’onda, si avvicina la lontananza, già vedo terra!» «Es teilt sich die Welle. Es naht sich die Ferne. Schon seh ich das Land!»
E così tra una poesia recitata e il caldo soffocante, Sofia non si è accorta dell’uomo se non quando gli ha rovesciato addosso brumit che aveva in mano. Il piatto si è rotto e brumit, che sotto il sottile strato secco, era umido e appiccicoso, emanava una tale puzza che per molto tempo, in seguito, Sofia si è chiesta come da una puzza del genere le donne ricavassero un pane così profumato! Laganet con olio, la focaccia con cingaridhe, le "frese” che la mamma impastava assieme a zia Rosaria. Le sembrava di sentire l’odore buono del pane, di rivedere la scala nella casa vecchia, la scala di legno che subito dopo l’entrata portava al piano di sopra, dove c’era il forno. Sofia non ha mai visto quel forno perché non poteva salire la scala. Ma ricordava la mamma che scendeva e portava il pane caldo caldo.
Intanto l’uomo, sorpreso quanto lei, cercava di ripulirsi. Sofia chiuse gli occhi perché solo il ricordo dell’odore del pane e della mamma le avrebbe fatto sentire meno dolorosa la punizione. Aveva sporcato i pantaloni al signor Temistocle, che apparteneva pure alla stessa gjitonia (al vicinato) e questo lo legittimava ancor più a punirla. Aveva tanta paura. Il cuore le batteva forte forte.
Aspettava. Gli occhi chiusi. Solo il ricordo della mamma la tranquillizzava. Poi ha sentito una mano sui capelli e ha sentito una voce dolcissima. Il signor Temistocle aveva chinato il viso vicino a quello di Sofia: «lo sai che quando si fanno le curve bisogna suonare bibiun?». La mano di lui è scivolata lungo i riccioli di lei e in quel viso così vicino, così dolce, Sofia ha sentito per la prima volta l’odore di un dopobarba o di una crema o di qualcosa di magico. In seguito avrebbe cercato per anni lo stesso odore negli uomini, senza risultati.
Temistocle era l’uomo che l’aveva raccolta addormentata, l’uomo che le rideva dalla finestra, che l’aveva aiutata anche quando lei aveva rotto il vetro della finestra del bagno di Silvia. Certo, non l’aveva fatto apposta ma nessuno le avrebbe creduto. Voleva colpire il cane Alì che dormiva proprio lì sotto e invece… Sofia, seguendo il suggerimento di Temistocle, che dalla finestra di fronte aveva visto tutto, ha subito nascosto la fionda e fatto finta di niente.
Ma Temistocle era anche l’uomo della banca che qualche mese prima era andato nella classe di Sofia mostrando cinquecento lire di carta nuove nuove, che la banca metteva in un libretto per ogni bambino che, così, poteva cominciare a risparmiare.
Prima aveva parlato il maestro ma nessuno aveva capito cosa fosse l’interesse e il capitale e altre parole difficili, perché tutti guardavano i soldi. Con cinquecento lire si potevano comprare dieci "carrarmati” al latte e cacao, come quello che comprava Co’ qualche volta e poi ne dava a tutti un pezzetto. Mangiarne dieci interi, che sogno!
Poi aveva parlato il signor Temistocle raccontando una storia divertente su un risparmio che non si era mai avverato, facendo ridere tutti. Era la storia di una signora che si stava recando al mercato a vendere una ricotta che portava in un cesto sulla testa. La signora pensava che con i soldi ricavati avrebbe comprato dei pulcini, li avrebbe cresciuti, venduti e avrebbe comprato una capra, poi una mucca e via via, sarebbe diventata sempre più ricca finché tutti incontrandola avrebbero dovuto dirle «Buongiorno signora», inchinandosi.
Così pensando, la signora piegò la testa in segno di saluto e la ricotta le cadde dalla testa, assieme ai sogni… Ridevano tutti, pure Temistocle. Infine ha distribuito dei quaderni, anche quelli regalo della banca e tante caramelle.
Sofia aveva già visto le cinquecento lire di carta. Gliele aveva regalate zia Rosaria al battesimo, l’anno prima. Si era battezzata da grande Sofia ed era contenta, così nessuno poteva più dirle che era un diavolo. E si sarebbe guadagnata la simpatia del prete che puniva per ogni piccola cosa! Pure se uno faceva il segno della croce con tutte le dita il prete lo sgridava. Diceva che bisognava usarne solo tre: pollice, indice e medio, tenuti belli stretti. In verità Sofia non ha mai capito se era più importante usare tre dita qualsiasi o per forza quelle che diceva lui.
«Noi siamo bizantini!» aggiungeva e sempre con tono rabbioso. Ma che voleva dire? Sofia si sforzava di far vedere che aveva capito, altrimenti la domenica pomeriggio non poteva presentarsi alla distribuzione dei cioccolatini dalle suore. In queste occasioni Sofia non mancava mai. Bisognava sempre dare per poter avere dagli adulti. Temistocle però era diverso. Dava senza chiedere.
Ma quella notte, quando Marta e i figli gridavano, Sofia ha visto Co’, Cenza e il padre precipitarsi fuori, correre nella casa di fronte. Quando i bambini non potevano andare qualcosa di veramente grave era accaduto.
Morte improvvisa, dicevano nei giorni seguenti. Ma questo nelle poesie non c’era. Che significa improvvisa? Tutto si vede: che i bambini nascono sivede dalle pance delle madri, la primavera si vede dai fiori. Chi ha dato il diritto alla morte di arrivare improvvisa? E poi se proprio ci teneva la morte ad arrivare, Sofia aveva sempre pronta una lista di nomi e il prete occupava il primo posto. Sofia non sapeva, allora, che la morte, invece, sarebbe stata ingiusta sempre e solo con lei. Sofia non poteva sapere. La morte di Temistocle era solo l’inizio. L’uomo che l’aveva difesa, divertita, coccolata, perdonata.
Morte improvvisa.
E c’erano tutti: prima il prete antipatico, poi la bara, poi i parenti e gli amici. Tanti. Sofia sentiva l’odore dell’incenso salire fino alla finestra, guardava quella vuota, di fronte, ma non ha pianto. Sofia non piangeva mai. La sorella Cenza invece piangeva. Così forte che Sofia è andata da lei, nella stanza accanto. Ma perché piangeva Cenza? Quando era tornata dal convento per occuparsi dei fratelli più piccoli non sembrava triste, però non era nemmeno felice.
Dicevano tutti che era meglio così, ma lei non l’ha mai detto. Aveva sempre un libro con la copertina nera che aveva portato da Roma e continuava a leggere e a pregare. È così dunque, era triste, era sola. Anche lei che era grande era sola. Sofia ha posato una mano sulla testa della sorella per una coccola. Poi è tornata alla finestra. Il corteo funebre aveva raggiunto la "Trapeza”, la finestra di fronte era vuota.
Qualche tempo dopo mastro Dino era venuto a parlare con il padre di Sofia, parlavano piano, i bambini non dovevano sentire. Ma Sofia sentiva. La finestra dicevano, quella della stanza di Cenza, bisognava chiuderla con dei mattoni forati. E al centro una croce. Era meglio far presto, così tutti avrebbero dimenticato, diceva mastro Dino.
Nessuno si sarebbe ricordato del fatto, nessuno avrebbe guardato e non ci sarebbe stato più pericolo. Il padre annuiva, piangeva. «Non fare così, bisogna farsi forza, altrimenti i bambini potrebbero capire», diceva mastro Dino. I lavori sarebbero cominciati subito, dicevano. Sofia voleva protestare.
Ma Temistocle non c’era più. E nemmeno Cenza. No, no, è meglio non guardare dalle finestre.