L'erudito
Gaston Polle AnsaldiGaston Polle Ansaldi
Nasce a Torino il 14 aprile 1992; frequenta il quarto anno al Liceo Scientifico di Domodossola (VB), paese di residenza. Parallelamente sta ultimando gli studi musicali presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara nella classe di pianoforte. Questo è il secondo concorso letterario a cui partecipa: nel 2008 ha conseguito una menzione speciale al concorso “Modello Pirandello” di Agrigento.
LE MOTIVAZIONI DELLA GIURIA
"L’Erudito" traccia, con un sottile velo di ironia, la simbolica parabola di un genio cui il destino riserva, sotto le sembianze di una domestica sbadata che lascia aperte le finestre, la beffa di un colpo di vento che disperde ovunque le carte con i progetti e gli schemi di scoperte sensazionali, destinate a cambiare il corso della storia. È una vita intera, compresi silenzi e qualche mistero, che scorre in questo racconto non privo certo di una sua stringente morale sulla caducità delle cose e sull’imprevedibilità degli avvenimenti. E nel rimpicciolimento dell’erudito, a fronte del tempo che passa, il lettore stesso è chiamato a salutari domande.
IL RACCONTO
Fin dall’inizio della sua vita, fin dalla più tenera età, aveva sempre
desiderato fare qualcosa d’importante. Scalare una montagna, scrivere
un libro, vincere il Nobel, scoprire qualche nuova molecola, tutto costituiva
per lui la medesima, ossessionante attrattiva. Ecco perché, col
passare degli anni, aveva sempre studiato molto e si era applicato, fin
nei minimi particolari, in ogni campo dello scibile umano tanto da diventare
un importante erudito, quantunque evidenziasse problemi a riguardo
nei rapporti sociali e nelle attività sportive.
Come un illustre
precedente, lo stare, continuamente e senza tregua, sulle “sudate
carte”, lo aveva reso lievemente gobbo, e con un carattere intrattabile.
Non aveva mai sofferto, grazie al suo operato, di ristrettezze economiche,
e sempre era stato l’orgoglio prima famigliare, in seguito dei
vari istituti scolastici (prestigiosissimi) che aveva frequentato, infine
della cittadinanza –… E di una nazione intera!!–, come disse il Capo
di Stato quando gli consegnò la medaglia al lavoro, massimo premio da
lui conseguito. Spesso era invitato dai più importanti atenei a tenere
eterne conferenze sui più disparati argomenti e (anche se per lui la
mondanità equivaleva a una bestemmia) a diverse feste, conviti e una
volta pure a entrare come iniziato in una setta di dubbia moralità.
Ovviamente,
oltre a prendersi cura della divulgazione del sapere, si
preoccupava anche di ricerche nei vari campi da lui affrontati, con eccellenti
risultati: almeno due volte l’anno uscivano suoi libri, cum magno gaudio
degli editori, per non parlare di tutti gli articoli, saggi e monografie
che pubblicava un po’ dappertutto. Tuttavia, tutta questa
ingente mole cartacea non era che la punta dell’iceberg delle ricerche
dell’Erudito: –Una bagattella!! Tutto questo è una bagattella rispetto
ai miei veri lavori!!–, soleva ripetere ai suoi comizi, con la voce squillante,
severa ed inappuntabile che tanto lo contraddistingueva.
Non si
sapeva molto di tutto questo: la domestica che faceva le pulizie nel suo
maniero (anzi, un piccolo castello, segno di un certo egocentrismo) rivelava
agli ansiosi ascoltatori che le sue importantissime scoperte
erano accantonate tutte quante (s’intende, in forma cartacea) in un
enorme armadio, sempre sigillato al quale nessuno poteva accedervi se
non l’Erudito stesso. Ivi contenute c’erano quarant’anni d’innovazioni,
invenzioni e nuove tesi. Voci non accreditate giuravano che lì in mezzo
ci fossero progetti di macchine atte a controllare il tempo, la composizione
chimica dell’invisibilità, piani di distruzione di massa e di rimboscamento
dei deserti.
Chiaramente, un simile patrimonio faceva gola
a molti, domestica compresa, che già immaginava, in caso di vendita
di quei preziosissimi fogli, un’anticipata e meritata pensione in un’isola
tropicale. Ovviamente, l’Erudito disponeva di una certa furbizia e, anche
grazie a quell’aura di inquietudine che emanava, nessuno aveva mai
osato l’inosabile. Ma poi, e proprio questo era il punto, come mai l’Erudito
non faceva conoscere a tutti gli altri le sue scoperte?? Qual era la
spiegazione di così tanta riservatezza?? Inutile dirlo, i soliti fantasiosi
avevano formulato, nell’ozio di interminabili domeniche pomeriggio,
innumerevoli teorie, alcune anche piuttosto singolari: chi diceva che
egli lo facesse per migliorare le sue idee col passare del tempo, limandole
e rifinendole (Darwin docet), altri semplicemente gli attribuivano
una scarsa fiducia nei suoi mezzi mescolata ad una certa timidezza esistenziale,
altri ancora sostenevano che tutto ciò fosse semplicemente
un’invenzione, una favoletta inventata dai “media” per alimentare le
chiacchiere.
Detto questo, molti non rinunciavano al “sogno”, e ad ogni
benedetta conferenza non mancava mai la fatidica domanda, che riceveva
in risposta lo stesso, imperscrutabile silenzio. Sulla sua vita privata,
poco si sapeva: non era sposato e, a parte una vecchia fiamma,
aveva sempre condotto una vita piuttosto solitaria, scevra da ogni
qualsivoglia coinvolgimento emotivo. Ora però era all’apice del successo,
era richiesto, adorato, idolatrato da tutti: addirittura ai più
ignoranti, i meno sagaci intellettualmente, era noto il suo nome; cosa
questa che lo rendeva orgogliosissimo, addirittura tronfio, conscio tuttavia
di non essere l’incarnazione della Perfezione (anche se, a suo modesto
avviso, poco ci mancava). Era convinto, certo di avere il totale
controllo sulla sua vita e sulla sua esistenza. Ma si sa, il destino (cosa
su cui egli aveva scritto un piccolo saggio), nonostante tutto, non si
lascia abbindolare da chicchessia.
Come al solito quando arrivavano le
stagioni fredde, l’isolato posticino di campagna dove abitava veniva
sconvolto da tempeste, nubifragi, e quant’altro si possa immaginare.
Una sera particolarmente piovosa (e, soprattutto, ventosissima), l’Erudito,
forte delle sue abitudini, aveva avuto l’idea (la quale si ripresentava,
inesorabile, circa tre o quattro volte l’anno) di ricatalogare il
prezioso materiale dell’armadio, confrontandolo e correggendolo: un
lavoro estenuante, faticoso, e a dirla tutta inutile, dato che se nessuno
poteva leggerli, era come se tutto ciò non esistesse. Purtroppo,
nella stanza adiacente allo studio dove vi era l’armadio, la domestica
aveva appena aperto tutte le finestre, allo scopo di arieggiare (si sa,
non era di una particolare intelligenza) la sala. L’effetto fu devastante.
Appena aprì la porta, come attratti da qualcosa d’immateriale, i fogli
uscirono dall’armadio, sovrastarono l’Erudito e fuggirono verso le finestre
aperte dell’altra stanza, con il pover’uomo che, ripresosi, si lanciava
a un folle quanto inutile inseguimento, imprecando ad altissima
voce contro la domestica. Tutti i suoi fogli, tutto il suo preziosissimo
lavoro stava volando via in maniera vertiginosa, fuori nella strada infangata
dalla pioggia, diventando subito illeggibili. Il poveretto, con
l’ausilio della domestica, cercava disperatamente di acchiappare i pochi
che ancora volteggiavano nella stanza, ma invano: sembrava che una
forza invisibile, quasi divina, glieli strappasse dalle mani e li buttasse
giù dalla finestra.
Nel giro di dieci minuti, l’armadio si era svuotato
interamente, a parte un pugno di fogli che l’Erudito era riuscito a conquistare,
anche se tutto ciò si dimostrò assolutamente inutile: erano
tutte lunghe e prolisse introduzioni ai suoi lavori, che si erano accumulate
col tempo e che l’Erudito non aveva mai avuto cuore di eliminare.
Per il dispiacere, perse l’uso della parola e del ragionamento, e
passò lunghi mesi di agonia ad esprimersi a gesti, mangiando (o meglio,
imboccato a forza dalla domestica) giusto l’indispensabile per non
morire. Tutto questo, ovviamente, fu ripreso a gran voce dalla stampa,
dalle televisioni, dalle radio, e già si stava parlando di fare un film legato
alla vicenda. Più volte vari e molteplici cronisti, fotografi e
giornalisti si intrufolarono a casa sua per tentare di intervistarlo, ma senza
successo: non aveva smarrito, anche se per motivi diversi, il suo silenzio.
Regina incontrastata delle cronache si rivelò invece la domestica:
molto bene immedesimata nella parte, raccontò a gran voce e
con grande spiego di mezzi mediatici tutti i segreti della casa dell’Erudito,
inclusa una vecchia storia d’amore tra i due, per non parlare
del figlio illegittimo e del matrimonio sotto falso nome; segreti, questi,
che si rivelarono essere frutto della sua mente. Inoltre, in aggiunta
a tutto ciò, si aggiungevano sorti dal nulla i vari parenti dell’Erudito
e, visto il suo instabile stato di salute, avevano ben deciso di darsi ad
un’agguerrita competizione per accaparrarsi i diritti d’autore, inventandosi
clausole testamentarie ed altro. Ovviamente, i suoi libri e tutte
le sue pubblicazioni ebbero un progressivo ed inafferrabile aumento
delle vendite (che già erano notevoli), e già editori o presunti tali reclutavano
saggisti, psicologi e filosofi allo scopo di realizzare un imponente
volume per approfondire lo strano personaggio dell’Erudito. Il
quale peggiorava di giorno in giorno.
Oltre alla perdita della parola,
delle capacità, si stava logorando pure esteriormente: la pelle si era
raggrinzita notevolmente, e, come giustamente tutti quanti avevano
notato, si stava lentamente rimpicciolendo. Nonostante quest’orribile
cambiamento, suscitava continuo interesse: gli speciali sul suo conto
aumentavano, allo scopo di far vedere anche come, per un banalissimo
incidente, ci si possa deteriorare. Poi perse ulteriormente l’uso della
vista, che già in sanità non era stata perfetta, per non parlare dell’udito,
il quale invece era stato ottimo. Passava le sue giornate, oramai,
a guardare fuori dalla finestra, e, a chi gli chiedeva che stesse
facendo, rispondeva a gesti che “aspettava”. Che cosa non lo spiegava,
ma si intuiva. Poco tempo prima del fatto che, a posteriori, lo rese più
famoso di quanto avesse potuto immaginare, che finalmente realizzò il
suo sogno infantile di fare qualcosa d’importante, sembrò ci fosse un
netto miglioramento: vedeva e sentiva benissimo, ragionava molto meglio,
aveva appetito e, incredibilmente, diceva poche ma significative
parole, subito riprese e registrate da tutti.
I quali (ma per motivi diversi),
anche la domestica, erano al colmo della gioia, esclusi i parenti
che, in caso di ristabilita salute, potevano dire addio ad ogni forma di
eredità. Non si sa bene che cosa successe, ma questo è l’unico fatto
certo, riferito dalla domestica: sparì. O meglio, non si fece vedere più.
Da ormai troppo tempo stava rimpicciolendo e, quando nessuno lo vide,
riuscì, con una certa difficoltà, ad intrufolarsi dentro l’armadio, e poi…
sparì. Lo cercarono per alcuni giorni, poi, a poco a poco, rinunciarono,
pensando che in qualche modo sarebbe ritornato, cosa che non avvenne
mai.