Tutto quel rosa carico
Antonio Giacomo BortoluzziAntonio Giacomo Bortoluzzi
È nato a Puos d’Alpago (BL) nel 1965. Da ragazzo ha letto molto più di quanto fosse necessario per diplomarsi come congegnatore meccanico. Lavora a tempo indeterminato in un’azienda che produce occhiali e scrive, ogni volta che gli è possibile. Vive con moglie e figlia a Farra d’Alpago. Dal 2002 a oggi è stato finalista e segnalato in vari concorsi e premi letterari, tra cui Alien, Lovecraft, Il Prione. Una decina di suoi racconti sono ospitati su riviste, antologie e web.
IL RACCONTO
Avevo dodici anni quando mio cugino me l’ha fatta vedere e se stringo
forte le palpebre sono ancora lì.
Austerity. Asfalto caldo. Sono con mia madre e camminiamo lungo lo
stradone deserto diretti a casa di zia Maria. Mio cugino ha un sacco di
giornalini: Zagor, Tex, Il comandante Mark, Il Piccolo ranger. Sono contento
che andiamo trovarlo. Mio cugino è forte ed è sempre tre anni
avanti a me e non c’è verso di prenderlo. Mia madre lo prende spesso a
esempio per come aiuta in casa, come lavora nei prati, com’è ubbidiente
e com’è diventato grande nell’ultimo anno; soprattutto questa faccenda
che è diventato grande.
Appena entriamo in casa mio cugino mi strattona in camera sua. La
stanza è calda e buia e ha uno strano odore: puzza di piedi mischiata a
detersivo da bucato. Mentre cerco di respirare solo quel tanto per poter
vivere, lui tira su le persiane di pochi centimetri sulle finestre aperte:
decisamente meglio. Andiamo dietro l’armadio, dove ci sono tre mensole
piene di fumetti. I fumetti sono tutto ciò che voglio e comincio a guardarli
uno a uno senza chiedere il permesso. Da anni i fumetti che girano
sono sempre gli stessi, letti e riletti. Quasi tutti hanno le copertine rovinate,
qualche albo ha delle operazioni di aritmetica scarabocchiate sopra,
qualcuno ha i bei disegni a colori della copertina ripassati e martoriati
da penne a sfera blu o rosse, qualcuno ha pezzi di cibo attaccati, qualcuno
è stato strappato e qualcuno ha preso la pioggia e s’è gonfiato come
un libro di scuola.
Ne vedo alcuni de Il comandante Mark, che non ho mai letto e lo
metto da parte. Poi alcuni Zagor, il mio eroe preferito. C’è il numero 13, L’abisso verde; il numero 40, Lo spettro del passato; il numero 64, Ramath
il fachiro. Poi non posso credere ai miei occhi: vedo l’ultimo numero, Alba
tragica. È il proseguo di Zagor contro il vampiro. È come un miracolo. L’albo
nelle mie mani è lucido e perfetto e sottile e nuovo e lo apro e lo sfoglio
e sento l’odore intatto dell’inchiostro e sono già alla prima pagina
con le tre vignette. Non ho bisogno di leggere il riassunto in alto, so
tutto della puntata precedente. Mi butto con gli occhi sul Barone Rakosi,
il vampiro, che a fauci spalancate e con una stretta poderosa delle dita
cerca di strangolare Zagor. Mi sembra perfino di sentire il respiro strozzato
del mio eroe, stretto alla gola dalle mani nodose del vampiro. Giro
pagina e finalmente Zagor dà un pugno in piena faccia al vampiro che
indietreggia. Ben gli sta. Ma i respiri affannosi non smettono, anzi
diventano più insistenti e rapidi. Sollevo gli occhi e li ruoto di pochi millimetri
alla mia destra e capisco che i gemiti non vengono dal fumetto.
Ritorno alla vita vera e per una volta mi stupisce più dell’avventura: mio
cugino, in piedi al mio fianco, ansima con la faccia dentro una rivista
aperta sulla faccia. La tiene con entrambe le mani e sembra affogarci
dentro.
– Aaaaahhh – grida all’improvviso e mi spaventa sul serio perché
capisco che non è uno dei soliti scherzi. È immobile con la bocca spalancata
e fa versi strani. Deve avere per forza una qualche crisi: matto,
indiavolato, epilettico e io non so se scappare o urlare e spero sia solo
epilettico e guardo la copertina del giornale che ha sulla faccia. È un
giornale per grandi, di quelli con le foto di uomini e donne nudi. Foto in
bianco e nero di gente nuda e immobile: le donne hanno capelli lunghi e
i maschi i baffi e poi c’è un sacco di altra peluria scura in giro.
– Guarda! – mi ordina all’improvviso e io sono contento che abbia
ripreso la parola e forse… Invece mi schiaffa la rivista tra Zagor e il
naso. Da principio vedo tutto sfuocato e arancione, poi mi dico che forse
è rosa ma non riesco a capire, è così gigante, un… una…
– Figa! Figa! – grida mio cugino ma io non gli credo. Non ho tempo
di farmene un’idea più precisa che mio cugino si riprende la rivista e si
tuffa dentro di nuovo a fare boccacce e versi. È in piena crisi e io spero
che dalla porta della camera non entri nessuno. Spero che guarisca o che
al limite muoia, così ho il tempo di nascondere quella porcheria. Mio
cugino sguaina i denti e le sue gengive sono rosse e comincia a muovere
la sua testa irsuta, come un cane che lecca la ciotola. Poi chiude di scatto
il giornale e lo butta sopra l’armadio; si dà una scrollata al cavallo dei
pantaloni come a sistemarsi qualcosa che gli dà fastidio. Mi guarda con
gli occhi fuori dalle orbite e dice una bestemmia senza alcun motivo.
– Andiamo! – mi fa, ed esce dalla stanza. Io lo seguo e finalmente
siamo nel corridoio.
– Andiamo da Nicola a portargli i giornalini – dice mio cugino alle
nostre rispettive madri che sorseggiano il caffé in cucina con le gambe
accavallate.
Usciamo in strada sotto il sole forte e allora noto la pila di fumetti
che porta sottobraccio. Camminiamo a passo svelto e voglio chiedergli da
quanto tempo soffre delle crisi e mentre cerco le parole giuste m’accorgo
che siamo già sotto casa di Nicola, uno più grande di mio cugino e che
d’estate lavora.
– Nicola! – grida mio cugino rivolto alle finestre della casa. Dopo due
chiamate Nicola sbuca dall’alto, ci guarda e fa cenno di no con la testa.
Non mi pare che abbiamo ancora chiesto qualcosa. Mio cugino alza verso
la finestra la sua pila di fumetti e Nicola scuote ancora la testa. Allora
mio cugino sfila dal pacco il numero 87 di Zagor, Alba tragica, e lo alza
verso il cielo. Nicola chiude la finestra. Dopo pochi secondi è in cortile e
si rigira tra le mani il fumetto nuovo. Io vorrei dire a mio cugino che non
l’ho ancora letto, e che prima di darlo in giro avrebbe dovuto farmelo
leggere ma Nicola ha già preso tutti i fumetti e li ha posati sul muretto
di casa sua. Poi Nicola fa una cosa davvero strana: si guarda a destra, si
guarda a sinistra, dà un’occhiata alle finestre di casa e in un lampo solleva
la maglietta e sfila dai pantaloni una rivista. Mio cugino la prende al
volo e se l’infila a sua volta nella cinta dei pantaloni e ricopre tutto con
la maglietta. Solo dopo si guarda intorno. Anch’io, per sicurezza, do
un’occhiata in giro.
– Andiamo! – esclama mio cugino avviandosi verso lo stradone.
Nicola sale le scale con i fumetti sottobraccio, compreso Alba tragica, di
cui ho letto solo le prime tre vignette. Penso che mio cugino è traditorevigliaccobastardo.
– Che cosa ti ha dato? – gli chiedo.
– Figa! – risponde lui.
– Ma io non ho ancora letto Alba tragica!
– Chissenefrega?
Quasi mi vengono le lacrime per quanto è traditore e vigliacco e
bastardo.
– Glielo dico a tua mamma cosa hai sotto la maglietta.
Mio cugino si ferma sullo stradone. Mi guarda.
– Saresti un catarro!
Io faccio spallucce.
– E poi io ti ammazzo come è vero Iddio – aggiunge. Mentre lo
dice gli guardo la bocca e gli occhi da matto e penso che potrebbe farlo
veramente, specialmente durante una crisi.
– Ti do il numero uno di Zagor – aggiunge a voce bassa.
– Il numero uno?
– Hm hm.
– D’accordo.
– Qua la mano.
Ci stringiamo la mano e le nostre ombre sull’asfalto sono nitide e
sembra un patto tra uomini, o malviventi.
Entriamo in casa e io spero di non incontrare… sono lì, che ci aspettano.
Mia madre e mia zia.
– Che grande che s’è fatto – dice mia madre a mia zia. Mio cugino fa
un sorriso da ebete e io guardo di sottecchi la sua maglietta che mostra
un rilievo rettangolare tra la cintola e la prima costola. Può essere la fine
e comincio a deglutire. Mio cugino suda.
– Vieni che ti do lo Zagor – mi dice con gentilezza e io lo seguo. È
quasi un sollievo rientrare nella penombra della stanza. Mio cugino va
dietro l’armadio dove c’è la mensola con la sua collezione di fumetti, sfila
il numero uno e me lo lancia attraverso la camera. Poi s’alza la maglia e
comincia a sfogliare la rivista. Mi dà le spalle e io rimango un momento a
guardarlo. Quando lo saluto ed esco, non si volta nemmeno.
Sono di nuovo in strada con mia madre e il numero uno di Zagor tra
le mani e penso a quando lo farò vedere a Vito e Gian e gli anticiperò le
prime tre vignette di Alba tragica e…
– Com’è cresciuto tuo cugino – dice mia madre. Io la guardo e la vedo
che scruta lo stradone, dov’è appena spuntata una macchina. Ma non sta
osservando l’auto, guarda oltre.
Vorrei dirle che mio cugino non sta tanto bene, che c’è mancato poco
che andasse in crisi. Che sarà pure cresciuto, ma che tra non molto farà
le bave e digrignerà i denti e dovremo andarlo a trovare all’ospedale e…
Vorrei chiederle che cos’è l’epilessia, ma in fondo ho paura di sentirmela
descrivere davvero. Vedo mio cugino disteso e legato in un letto con le
sponde d’alluminio e mi sento mancare il fiato.
– E si sta facendo proprio un bel ragazzo…
Allora capisco. Tutto. Ed è ancora più spaventoso: non è una malattia,
sennò i grandi se ne sarebbero accorti subito! Tutto ha inizio con
quello che mi ha sbattuto sulla faccia. E se la sua malattia avesse a che
fare con quella cosa lì? Se mio cugino fosse drogato? La caratteristica del
drogato è che non riesci a tenerlo lontano dalla droga, che se ne frega
degli amici e della famiglia. Che per la droga è disposto a tutto, anche a
dare via le cose più preziose. Alba tragica. Porca vacca. Il numero uno di
Zagor. Io ho sentito che c’è della droga che si fuma, che si mangia, che si
inietta nelle vene. Li ho visti al telegiornale i drogati. Se ci fosse in giro
una droga nuova che basta guardarla? Basta una volta sola e sei drogato
per tutta la vita?
Penso una cosa brutta, la più brutta di tutte: anch’io l’ho vista. È
stato solo un attimo, ma l’ho vista. Cerco di pensare al numero uno di
Zagor, alle belle vignette in bianco e nero nitide e perfette: vedo macchie
di colore. Per quanto pensi a Zagor, alla sua scure, al suo costume con
l’aquila stilizzata, quelle macchie di colore non mi escono dagli occhi.
– Stasera faccio minestra di verdure – dice mia madre.
– Che fai?
– Una bella minestra con tutte le verdure dell’orto.
– Uffa!
– Guarda che tuo cugino va pazzo per la minestra. Mi ha detto tua zia
che ultimamente ci si tuffa letteralmente dentro e…
– Basta!
– Ma…?
– Basta, basta! Ho detto basta!
E corro verso casa e mia madre rimane sul ciglio a chiamarmi. Io corro
più che posso sbattendo le scarpe sull’asfalto fino a sentire le piante dei
piedi scottare. Corro e chiudo gli occhi. Stringo forte le palpebre, fino al
rosso e al viola. Poi le rilascio lentamente e prima della luce bianca e
accecante del sole lo rivedo: è tutto quel rosa carico ed è ovunque intorno
a me.