Per prima ho fatto fuori una donna
Giuseppe DisnanIL RACCONTO
Non si capiva bene quanti anni avesse, la luce era poca e lei stava attraversando la strada lentamente, con una sacca della spesa in una mano e una borsetta nell'altra.
Tutto intorno non si vedeva nessuno, la situazione ideale. L'ho beccata al primo colpo, si spostava piano anche per i pesi che stava portando, non sono rimasto a guardare e non mi ha fatto nessun effetto, tutto troppo facile.
Con l'uomo c'è stato da impegnarsi un po' di più, andava più veloce e si guardava ogni tanto intorno come se si stesse aspettando qualcosa, ma non mi sono lasciato condizionare e ormai comunque lo avevo puntato.
Non so come li scelgo, dev'esserci qualcosa di inconscio che mi spinge a selezionarne alcuni in particolare, a parte il fatto che devono essere da soli, in un momento favorevole, a una distanza giusta per mirare.
Questo ad esempio non aveva niente di particolare se non il cappello, di quelli grigi vecchio stile di feltro a tesa larga, che non usa quasi più nessuno; forse mi faceva pensare a quello che ci diciamo sempre con gli amici quando ne vediamo uno così che sta guidando:
“ Quelli che guidano con il cappello in testa sono pericoli pubblici”.
Comunque il posto si è riempito subito di gente, era sera e c'erano ancora molti in giro che sono accorsi a guardare; poco dopo è arrivata anche la polizia, ne ho sentito la sirena, ma io mi ero già dileguato, non mi va di rischiare e non c'era motivo per restare a guardare ancora.
Non mi fa nessun effetto abbatterli, ma non provo neanche soddisfazione particolare o voglia di indulgere su quello che succede dopo, con la gente che grida, il caos dei primi soccorsi, magari qualche parente che arriva e fa una scenata.
È proprio un fatto di precisione e di pazienza, saper aspettare il momento opportuno, le condizioni favorevoli, il giusto grado di concentrazione; se si lascia che le emozioni prevalgano tutto può essere compromesso in un attimo.
Adesso devo stare più attento, si è alzato il livello di guardia e devo muovermi con una certa circospezione, magari vagliare in anticipo i posti dove agire, senza arrivare a veri e propri pedinamenti dei possibili obiettivi: somiglierebbe troppo alla preparazione di un attentato e perderei tutto il senso e quindi il gusto della cosa.
Le persone sembrano muoversi più velocemente, come se intuissero che il pericolo è aumentato e che dipende anche da loro fare in modo di combatterlo, ma tutto avviene senza isterismi, quasi con naturalezza, una faccenda appunto tutta fatta di tempi e di traiettorie, come bersagli che oscillano per non offrirsi in modo troppo invitante.
Si nota solo qualche poliziotto in più, ma sono così pochi che non mi impensieriscono né tanto meno tranquillizzano nessuno di quelli che dovrebbero trovarne conforto e protezione.
Il momento migliore è la sera, quando cala la luce ma non è ancora buio: in giro c'è meno gente, e anche da distante si mantiene un buon livello di visibilità; non posso rischiare di avvicinarmi troppo e devo sempre tenermi delle vie di fuga sicure (specialmente adesso che si è fatta viva la polizia con queste ronde, rade ma comunque imprevedibili), ma la pistola non consente di mirare con precisione da troppo lontano e non posso permettermi più di due tre colpi in caso di errore iniziale.
Il benzinaio l'ho colto decisamente di sorpresa, stava per chiudere ed era evidentemente molto stanco, oltre a non avere la minima idea di quello che stava per succedergli.
Del resto chi ha mai idea che una cosa del genere accada proprio a lui? Anche quelli con le fobie che stressano chiunque con la fissa di essere la prossima vittima, sotto sotto fanno quello che facciamo tutti pensando che, come al solito, succederà sicuramente a qualcun altro.
Da dietro un albero, sulla parte opposta della strada, sotto un edificio che ospita una scuola, e quindi sicuramente chiuso e deserto a quell'ora, ho potuto mirare con tutta calma e colpire con precisione, anche se l'uomo continuava a muoversi per portare dentro la merce e trascinare gli espositori nel magazzino.
Ho aspettato che si fermasse un attimo per trascrivere le cifre dagli erogatori, e in quella frazione di secondo ho avuto la sua schiena perfettamente in asse per colpire con comodità. Andarmene non mi ha comportato nessun problema; ho incrociato un paio di persone che arrivavano ma nessuna pareva aver sentito il colpo, e il primo poliziotto, con la pistola già in mano, l'ho visto arrivare dalla direzione opposta alla mia, e non ha avuto neanche il tempo di chiedersi se c'entrassi.
L'unico rischio sarebbe stata una macchina che si fermava a cercare un rifornimento in orario limite, ma riuscivo a vedere un tratto abbastanza ampio della strada, nelle due direzioni, per poter avere sotto controllo anche questo.
I miei sospettano qualcosa.
Tutte le sere occupato, non capiscono, gli ho detto che si tratta di lavoro, cose urgenti che devo assolutamente finire, per un po' li ho messi a tacere ma non so quanto può funzionare.
Per loro va benissimo che tutto sia sempre uguale, sono stati scelti dalla vita e non possono più uscirne neanche se lo vogliono.
Mio padre dopo cena si sprofonda in quella poltrona a fiori sfondata, il posacenere pieno di cicche puzzolenti e qualche schifezza da mangiucchiare a portata di mano; poi via col telecomando, e la scatola magica lo affonda in una sonnolenza pigra e lamentosa senza spazio per le parole e un buco nella testa dove infilare una sull'altra le finte vite degli altri.
Mia madre si trascina a finire le ultime cose, tra piatti unti e scarpe dimenticate in un angolo; sa che non deve interferire, sono tollerati solo rumori non troppo molesti.
Alla fine anche lei si abbatte sul divano in attesa che la testa le ciondoli da una parte, fino a quando si decide a trascinarsi in camera, senza aspettare che lui la raggiunga.
Di me hanno perso le tracce, ma pretendono ancora , a volte, di pensarmi come uno di cui ci si deve occupare, e peggio ancora sapere le cose. Li lascio fare dandogli l'illusione di un legame senza il quale sarebbero uniti solo dalla zavorra del passato e da due pensioni da cumulare per sopravvivere dignitosamente.
Non voglio che sappiano, non tanto per un qualche bisogno di non deluderli o dispiacerli (forse non sono più capaci neanche di questo), ma semplicemente per il gusto di tenerli fuori dalle mie cose, per sancire questa voragine tra mondi che non sono più in contatto da troppo tempo.
Diventa sempre più difficile divertirmi in questa cosa, mano a mano che le situazioni si ripetono, anche se nessuna è uguale alla precedente, ma si assomigliano tutte un po'.
Devo trovare un modo per renderle più eccitanti, individuare i confini più labili tra sfida, rischio e piacere, in modo di non rischiare troppo, ma neppure di avere un'eccessiva sensazione di replica: più posso sfiorare la sconfitta più diventa succosa la vittoria.
Mi piacerebbe sentire la paura delle mie vittime, non per un gusto sadico di vederle soffrire, ma perché potrebbe essere un elemento di variabilità, la spinta ad una reazione inaspettata, disperata e quindi estrema, un modo per complicare le cose quel tanto da renderle più interessanti.
Invece paiono quasi non accorgersi di niente, piombano per terra al massimo con qualche grugnito, sempre troppo prevedibile, e del resto non mi sento neppure di aspettare troppo per creare un'atmosfera di suspance che in se stessa non mi dice niente; devo fare tutto sempre più in fretta per non insospettire troppo il mio bersaglio e per cogliere al volo i momenti giusti in cui il campo è abbastanza libero da ostacoli di ogni genere.
Ma bisogna che tutto sia più eccitante.
Il ragazzo in bicicletta passa proprio tra quelle due case, schizza via veloce, tutto in un attimo, quello di intravederlo e basta, bisogna calcolare perfettamente i tempi e posizionarsi in un punto che consenta di essere molto concentrati.
Devo puntare a metà del breve tratto in cui appare, pronto a far fuoco non appena sbuca fuori da sinistra, in modo da garantirmi la possibilità di un secondo colpo prima che scompaia dietro l'angolo opposto.
Faccio tutto con estrema cura, confidando nel fatto che ho tre vie possibili di fuga e vicino c'è comunque un androne in cui nascondermi in caso di emergenza.
Lo prendo al secondo tentativo, e riesco a infilarmi nel vicolo alla mia sinistra proprio un attimo prima che una figura appaia in fondo alla strada ed esploda due colpi che sbrecciano il muro da cui mi sono appena allontanato. Piacere puro con brivido.
Per due sere ho dovuto rinunciare alla mia caccia perché ho la mano destra intorpidita da un crampo che mi impedisce alcuni movimenti.
Dev'essere stata la tensione delle attese, in cui senza rendermi conto sono rimasto contratto con le dita irrigidite sulla presa; anche il collo e le spalle sono un po' doloranti ed esigono riposo.
Mi sono infilato in questa stradina stretta e con una illuminazione scarsissima senza rendermi conto che stavo uscendo da una periferia un po' degradata ma pur sempre decorosa.
Qui ci si muove come in un budello che ogni tanto si apre a qualche improvvisa deviazione, una zona che non conoscevo e non ho mai esplorato. Potrei cercare di tornare indietro, sono quasi sicuro che ritroverei facilmente la strada, ma forse è l'occasione per fare un salto di livello e passare a qualcosa di più rischioso ed eccitante.
Al bivio che ho davanti o procedo in linea retta o taglio a destra , ma appena supero l'angolo mi vedo venire incontro una figura scura che alza il braccio e mi punta la pistola.
Faccio appena in tempo a ritrarmi che un'altra sagoma quasi identica si materializza una ventina di metri alle mie spalle ed esplode due colpi in rapida successione che schivo per una questione di millimetri. Nel fare questo devo appoggiarmi alla parete e indietreggiare, proprio mentre il primo individuo che avevo evitato è arrivato all'incrocio e da due passi mi esplode un colpo diritto al corpo.
Un lampo giallo e rosso poi tutto diventa irrimediabilmente nero.
Killed. Game over.
Mi avevano avvertito che il quarto livello è difficilissimo da raggiungere.
Mi sono stufato di questo gioco, adesso provo i circuiti di rally.