La foto di mia nonna
Martina DegasperiIL RACCONTO
A tavola quella sera tutto era tranquillo come il solito, perfino mia sorella se ne stava buona, d’altronde era tutta intenta a mangiare una pizza, il suo piatto preferito, quindi non aveva motivo di lamentarsi.
Mia madre ci stava raccontando la sua giornata di lavoro alla casa di riposo, argomento solito delle nostre cene. Ridendo stava raccontandoci un episodio capitato a qualche anziano signore.
La mia famiglia è una come tante. I miei genitori vanno molto d’accordo e sono entrambi grandi lavoratori.
Mia madre lavora alla casa di riposo Villa Chiara e mio padre possiede una piccola tipografia in società con suo fratello. Ho anche una sorella, Giulia, più piccola di sei anni, cui voglio molto bene, nonostante a volte mi faccia disperare.
“ Ecco lo sapevo, quei pazzi hanno trovato il modo di farsi notare ancora. Non li sopporto!” Tutte e tre ci voltiamo verso mio padre che stava sbraitando contro il telegiornale, dove trasmettevano un servizio sull’ultimo Gay Pride. “ Papà! Cosa dici? Sei impazzito?” “ Lasciami stare Isabella e dato che hai terminato vai in camera tua, non sono cose per te” “ Ti ricordo che ho quindici anni e queste cose so come vanno!” “ Smettila! Vai in camera, non ti voglio sentire”
Pazzesco. Sentivo la rabbia crescermi dentro e diventare sempre più grande.
Non era solo rabbia, era anche stupore. Mio padre non si era mai comportato così, non era razzista e tanto meno contro gli omosessuali. Mi era impossibile capire, con questo chiodo fisso nella testa me ne stavo sdraiata sul letto fino a quando mi sorprese il sonno.
Quella mattina, con la scuola, avrei visitato gli Archivi della Curia. M’ interessava sapere quali erano stati i miei antenati, forse perché in casa non se ne parlava mai. I genitori di mia madre erano ancora vivi, mentre mio nonno paterno era morto quando papà era ancora piccolo.
Della madre sapevo ben poco, solo che era morta anche lei molto giovane. Non conoscevo la loro vita e neppure il motivo per cui mio padre evitava soprattutto il discorso “madre”.
Ecco perché quella gita destava in me un certo interesse. Sapevo che su quei cataloghi erano registrate soltanto le date di nascita e di morte, ma non conoscevo neppure il nome di mia nonna, come se lei non avesse mai preso parte alla vita di mio padre, lui l’aveva inspiegabilmente esclusa evitando con infinita cura l’argomento.
Isabella. Mia nonna si chiamava come me.
Un senso d’orgoglio improvviso mi aveva assalito. I miei nonni si erano sposati a diciotto anni in un piccolo borgo di montagna e nove mesi dopo era nato mio padre, il loro unico figlio.
Non c’era stato il tempo di concepirne altri perché mio nonno era morto sei mesi dopo. All’età di soli venti anni mia nonna era rimasta vedova, una profonda tristezza aveva tolto il posto a tutto il mio orgoglio. Forse era stato quel dolore ad ucciderla. L’unica informazione che aveva saputo darmi mia madre era che la nonna era morta all’età di venticinque anni.
Probabilmente doveva esserci un errore. Secondo gli elenchi mia nonna non era morta a quell’età, bensì sette anni più tardi. Non poteva esserci un errore, ma decisi lo stesso di domandare. “ Scusi, è possibile che ci sia un errore negli elenchi?” “ Dipende in quale circostanza” “ Nelle date di morte, un errore di sette anni” “ No, è impossibile, forse avrei dei dubbi se si trattasse di qualche giorno, ma sette anni sono un po’ troppi!” “ Ok, fa niente, grazie” Allora mio padre mi aveva mentito. Ma perché?La morte della propria madre non era una cosa sulla quale ci si poteva sbagliare. Rimandai tutto alla cena.
Quella sera presi coraggio.
“ Papà, perché la mamma mi ha detto che tu le hai raccontato che la nonna è morta a venticinque anni?”
“ Secondo te cosa avrei dovuto dirle? ”
“ Lo sai che non è vero, la nonna è morta sette anni più tardi!”
“ Mi sarò sbagliato”
“ Ma come puoi sbagliarti su una cosa del genere? Era tua madre!”
“ Esatto, ERA mia madre! Non mi va di parlare di lei, smettila!”
Quanto disprezzo nelle sue parole. Sembrava che sua madre fosse un mostro. Come poteva odiarla tanto?Erano troppe le domande senza risposta. Decisi di rifugiarmi nel posto della casa che preferivo. La mansarda. Mi piaceva, aveva talmente tante cose da scoprire. Cominciai a frugare.
A prima vista mi sembrò soltanto un inutile pezzo di carta, stavo per rimetterlo nello scatolone quando notai delle scritte. Cominciai a leggere. “ Ormai non ce la faccio più, sono stanca di dover nascondere i miei sentimenti.
Vorrei urlare al mondo che la amo, che non sto peccando.
L’unica cosa bella di questo momento è Simone, quel piccolo fagottino comincia già a camminare e quindi a combinare disastri, chi lo ferma più? Se non ci fosse non lo so…oh Vittoria come posso dimenticarti…
” E’ impossibile spiegare tutte le emozioni che mi avvolgevano in quel momento. Quella donna era omosessuale.
Quella donna era mia nonna. Dopo questa scoperta la stima che avevo per lei non era scomparsa, ma avevo dentro anche tanto stupore. Non avevo mai capito gli omosessuali, ma sapevo che fra di loro vi erano tante persone con dei principi magari migliori di quelli di tanta altra gente. Avevo sempre pensato che il mondo è grande e nessuno è superiore agli altri se non fanno del male.
“ Isabella! E’ pronto in tavola!”
“ Arrivo!”
Non avevo voglia di scendere, volevo solo trovare altri pezzi della vita di mia nonna, volevo capire. Almeno adesso sapevo a cosa era dovuta tutta l’ostilità di mio padre verso sua madre, ma non poteva esserci soltanto questo, non poteva dare tanto rancore.
Dopo non aver aperto bocca per tutta la cena tornai in mansarda. Quando ormai era quasi un’ora che cercavo senza risultato trovai una foto. Era mia nonna. Lo sapevo.
Somigliava molto a mio padre, aveva i suoi stessi occhi azzurri, quelli che poi ho anch’io. Era una bella donna e nonostante il suo viso fosse segnato dalla fatica sembrava felice.
Oltre ad essere bella era giovane ed aveva accanto a se un’altra donna. Vittoria. Sembrava che avessero venticinque anni e con loro c’era anche mio padre. Se fosse ancora viva mia nonna avrebbe novantasei anni. Potrebbe essere viva. Magari Vittoria lo era. Come potevo rintracciarla? Forse se avessi saputo il cognome tutto sarebbe stato più semplice.
Stavo rimettendo tutto in ordine per non lasciare traccia del mio passaggio, quando trovai un’altra pagina di diario. Stavolta diceva:
“ Oggi la signora Svaldi è venuta da me. Sembrava una furia. Voleva sapere quali strane idee avessi messo in testa a sua figlia. Vittoria deve avergli accennato qualcosa. Per fortuna è arrivato Gustavo.
Per la prima volta nella mia vita sono stata contenta di vederlo. Ultimamente quell’ubriacone continua a fare pressioni a Vittoria. Sento che ci saranno solo guai.” Svaldi. Ecco come si chiamava Vittoria.
“ Cavolo! Sono le dieci passate!” In quella soffitta il tempo non passava mai. Ci credo. C’erano talmente tante cianfrusaglie.
Decisi di mettere ordine e andare a letto.
Quella mattina la scuola sembrava non terminare mai.
Come se non bastasse avevo due ore anche nel pomeriggio. Quando tornai a casa ero sfinita, così mi coricai. Dopo cinque minuti dormivo profondamente.
Sentii al voce della mamma. Era tornata. Andai a salutarla.
“ Ciao mamma! Com’è andata la giornata?”
“ Bene, tranne per il fatto che una signora mi ha fatto disperare”
“ A sì? Chi è? La conosco?”
“ No, è arrivata oggi. Si chiama Vittoria. Vittoria Svaldi se non sbaglio. Non ci voleva proprio stare nel letto”
“ Vittoria Svaldi? Ma ne sei sicura?”
“ Sì, ma perché? La conosci?”
“ No, niente, devo essermi sbagliata, senti vado a fare un giro, torno per cena”
“ Va bene, sii puntuale”.
Vittoria Svaldi. Non potevo crederci. Dovevo assolutamente parlare con lei. Subito. Mi vestii velocemente e uscii. Da casa mia al ricovero c’erano quattro fermate d’autobus.
Una volta lì mi rivolsi ad un’infermiera dell’accettazione.
“ Scusi, la stanza della signora Svaldi Vittoria, per favore”
“ E’ la numero quindici”
“ Grazie”.
La stanza era nella penombra. Il letto sembrava vuoto. Avvicinandomi mi accorsi però di un piccolo corpo sotto le lenzuola. Pensai che forse dormiva. Quando le fui accanto però la donna mi fissò:
“ Chi sei?” la sua voce era poco più di un sussurro. La riconobbi. Era lei, la stessa donna della foto, ma adesso il suo viso sembrava un lenzuolo stropicciato.
“ Mi chiamo Isabella” Appena pronunciato il mio nome notai un bagliore nei suoi occhi.
“ Sono la figlia di Simone, so che lei conosceva mia nonna, se la sente di raccontarmi qualcosa della sua vita?”
“ Perché vuoi conoscere la vita di tua nonna?”
“ Ho trovato delle pagine di diario, sono rimasta molto colpita e da mio padre non ho avuto molte spiegazioni”
“ Lo credo. Lui non conosce la verità, o almeno, la conosce in parte” “Quale verità?”
“ Accomodati, è una storia lunga” mi sedetti sul bordo del letto e pensai a mio padre.
“ Io amavo tua nonna, ma nessuno lo sapeva. Non potevamo rendere pubblico il nostro legame perché tua nonna aveva un figlio da proteggere. Era una donna forte e sopportava il dolore” si vedeva che era stanca della vita, ma raccontare sembrava renderla ad ogni parola più leggera.
“ Se non se la sente posso tornare un’altra volta”
“ No!Ti prego resta, io devo e voglio parlare. Come ti dicevo il nostro legame era saldo, almeno fino a quando non arrivò Gustavo.
Era un uomo che beveva e violento. Mi faceva la corte, ma non con fiori e cioccolatini, con le minacce. Sospettava di me e tua nonna e mi minacciava affermando che se non fossi andata con lui avrebbe raccontato tutto quello che sapeva. Io non ero forte e il peso di quella situazione mi stava distruggendo. Così successe una cosa orribile.”
Fece una pausa, evidentemente la ferita era ancora aperta e le provocava molto dolore.
“ Una sera Gustavo venne a casa mia e cominciò a torturarmi. Tenevo una pistola in un cassetto. Gliela puntai contro e gli intimai di smetterla. Lui però era ubriaco e cominciò ad insultarmi così io…” piangeva. Le porsi un fazzoletto. Lei continuò: “Sparai. Tua nonna sentì lo scoppio e si precipitò da me. Quando vide quello che avevo fatto mi prese la pistola dalle mani e mi disse che mi amava. Quando arrivarono i soccorsi trovarono lei con la pistola. Fu accusata di omicidio. Mi sono portata dentro questa bugia per tutta la vita.
Al suo funerale ricordo che non c’era nessuno, nemmeno tuo padre” il respiro della donna si fece più regolare.
“ Ecco da dove deriva il rancore di tuo padre nei suoi confronti, da una bugia. Io conto su di te” Mi fissò e poi si spense. Senza fare rumore. Ora toccava a me.
A casa tutti mi aspettavano per la cena. Mio padre era furioso: “Dove sei stata? Eravamo tutti in pensiero!” “Sono stata da Vittoria”.
Il viso di mio padre s’incupì, ma dal suo sguardo capii che voleva spiegazioni.
Così lo accontentai. Seppe la verità. Tutta la verità. Alla fine piangeva.
Piangeva per non aver capito quella donna che era stata condannata per il troppo amore. Il mattino dopo andammo tutti insieme al paese.
Nel cimitero la tomba della nonna era spoglia. Non aveva né un vaso di fiori ne un lumino, soltanto una rosa di plastica che probabilmente aveva lasciato qualche buon’anima.
Quando ce n’andammo io mi fermai un momento e la osservai.
Mia nonna. La foto di mia nonna.