Dialogo a due voci
Irene SchoefbergerIL RACCONTO
«Monsieur Brel, che allegria ’stasera! Che turbini, rimescolamenti, giri vorticosi, danze sfrenate (e non aggiungo altro per non offendere il cuoco rendendogli la pregiata pistacchiosa crema che ho tosto inguianghiottitogoiato).
Che ondeggiante freschezza, che soffice ricca di ghirigori schiuma e morbido freddo nel mio palmo che approfondisce quelli di eleganti dame e giovani promesse, quanta bella gente intorno, tutti noi su questa tua nave, monsieur Brel, in un’altilenante festa d’addio che è insieme passione e sacrificio, fine e testimonianza. Perdonaci, perdona la dedizione interessata di queste ore; è la nostra ultima opportunità di sfogare istinti di sfruttamento e paura.
Già innumerevoli scandali graffiavano la nostra triste terra: le panze traboccanti birra e lasagne che dai finestrini di robotofelini autoveicoli cadevano spossate sulle gracidanti strutture vuote richiamanti casse toraciche, la deplorevole perversione delle ditte produttrici di odio che, per evacuare magazzini di prodotto invenduto, avevano preso a regalarlo, distribuirlo alla stazione degli autobus, accompagnarlo ai detersivi, questa schifosa comunicazione che si era rivelata per quel che era e ancora non si lasciava metter via, ma giusto confinare in laconici messaggi cifrati che allora appiccicavamo su palloncini, per non guardarci negli occhi ed evitare così il contagio di quei ficcanaso che credevano ancora di poterci convincere a entrare a far parte di qualche club tipo “amanti delle bambole di pastapane” o simili.
Capirai, ci bastava il rabbioso fastidio degli ingombranti manifesti del partito delle scale, che insisteva nel voler ricoprire le nostre strade e le nostre mezze altezze e il nostro cielo con scale di varie grandezze per evitare gli attaccaticci odori con cui i passanti continuamente ci insolentivano invadevano adulavano aggredivano; come se passare appena sopra o appena sotto cambiasse il fatto che nessuno si prendeva la briga di ascoltare le nostre oneste rivendicazioni di farci i fatti nostri, poter urlare nei tombini la nevrosi che arricciava le nostre vene senza l’obbligo di sottoporci a rivendicazioni altrui. Anche i giullari mascherati che caprioleggiavano sui nostri tappeti schiaffeggiando i nostri pappagalli gloriosamente estorti da Manitu, le loro giacchette dalle mille tasche piene di polverine magiche e bacchette e proteste e denunce e paccottiglia, i loro discorsi noiosi, anche questo era volato sulle nostre croci divenendo piombo; ma sopportavamo.
La pazienza è virtù congenita della nostra stirpe, come dimostrano le nostre graziose consorti quando al parco c’è da sgomberare da una panchina qualche giovane delinquente che la morte se l’è cercata con quella roba nella siringa che lo sappiamo tutti quanto costa e il fatto che se la possa permettere dimostra che non è un poveretto per cui provare compassione!
I sospiri che abbiamo pur sempre trattenuto, anche quando hanno occupato la sorgente elettrica e i nostri pargoli non potevano nemmeno ricaricare cellulari e videogiochi e così sono stati privati del loro status sociale, promessa di un avvenire brillante! Ce la siamo vista brutta un sacco di volte, ma quando la più grande casa pubblicitaria of the world ha indetto il concorso della partecipazione alla fiction su canale hehe a chi avesse presentato il diario più sfigato, allora abbiamo imparato a metter via e sopportare, sopportare, sopportare. Pazientare, anche.
Ma quanto è accaduto è troppo, non si può accettare questo.
Dio, tu conosci le clausole del contratto stipulato tra i gemiti di dolore di quella santa donna a cui ho comprato la lapide con le rifiniture d’oro firmata dallo stilista della tivvù che poi sarebbe mia madre (non lo stilista: la santa donna a cui eccetera). Patti chiari, amicizia lunga.
La tua indefinitezza, questo tuo esserci e non esserci… epifanie e miracoli compresi, gli alfabeti che usi e poi rigetti ansioso di nuovo, la tua inopportuna volubilità: tutti fatti tuoi, io non mi sono mai immischiato. Gesù, Maometto, Allah, Manitu, Buddha, San Pietro, il Dio sole e quello della pioggia, Iride, Atena e Ares, ateismo, agnosticismo... non mi sono mai pronunciato. Il matrimonio in chiesa, quello sì per Gioffredantoniapaoladaniela e anche per colleghi e parenti e simili, per entrare nei loro giri... dài che lo sai quanto può essere pesante vivere in pace!
Ma quello che sto cercando di chiarire è che quando tu mi hai delineato ciò che accadeva là fuori e mi hai anticipato che a volte mi sarebbe parso di stare sul palco di uno spettacolo di infima quantità, tra attori svogliati e nessuno che si fosse degnato di buttar giù un minimo di copione, quando mi hai guardato negli occhi (che pure non avevo ancora aperto) io ti ho posto una sola condizione: che nessuno avesse il diritto di giudicarmi, che nessuno fosse veramente nella condizione di farlo. E tu hai detto che ti andava bene (negalo, se puoi).
Siamo uomini. Siamo uomini e donne che hanno imparato a vivere in questa giungla.
Monsieur Brel, tu già allora andavi a spirale nel tuo lago... ti ho sempre consigliato di dimostrare di essere un uomo e prendere il mare, ma tu forse hai paura, chissà. Comunque va bene così, anzi va benissimo, perchè mantieni alto il grado folkloristico del paese. Solo, come puoi comprendere questo suicidio che ora supplichiamo di vomitarci in una morte che mai avremmo accettato? Così incoerente.
Eri sottocoperta e aprivi scatolette di borlotti comprate da Paperone, quando accadde, e se hai udito le nostre chiamate te ne sei fregato, ti sei girato dall’altra e hai continuato a sognare per conto tuo. Io m’ero illuso che tu venissi a darci una mano, ma mi sa che al mondo anche se tutti aiutano nessuno viene aiutato.
Tutto sopportavamo.
Dopo un po’, sviluppi anche una certa ironia. Certo, all’inizio sei lì tutto attento a non sbagliare, sopraffatto dalla grandezza dei tuoi predecessori: muovi qualche passo incerto e ti tormenti l’orlo delle maniche, lavori e lavori. Lavori. Imparare da chi è più grande, con un sale ti modestia che ti fa lievitare e iniziare a saltellare, planare, volare. E un giorno ti svegli e sei una via di mezzo tra un ombrellone e una brisa: la superiorità imparziale del primo, la stabilità rasicurante e imprescindibile della seconda. E un giorno ti svegli e sei un grande tu stesso e hai acquisito quanto troppa gente ruba: l’autorità e il permesso di fare di testa tua. Sfottere, se ti va.
Io e Mariangelo abbiamo fatto avere un premio speciale a Ledancme, il cui nome è già stato inserito nel dizionario alla voce sinonimi di artista maledetto, Ledancme che ha sgozzato l’amico di mio figlio (amico che comunque era solito camminare sulla mia collezione di figurine di ippopotami con le scarpe incrostate di chewing-gum) e sta creando qualche problema allo zoo per quella faccenda delle arachidi di polvere da sparo agli elefanti. A lui, perchè almeno non ci tiene in serbo
sorprese.
Se ne accorse mia moglie, mia moglie di cui non ho mai ricordato bene il nome. Ne parlò con Mariangelopiero, Mariangelopiero nostro vicino di casa non quello del premio.
« Uè, Cesario, guarda che abbiamo il giardino di dietro pieno di cubetti di mela ghiacciati e di stelline da minestra!»
Io quella sera sono andato a letto presto.
Credo di essere anche andato dietro a vedere, ma ero troppo occupato per pensarci:
« Eh, che volete che sia, con un po’ di brodo rendiamo tutto produttivo.»
Dovevo aggiornare il mio rapporto a canale hehe, ne andava del bene di tutti.
Non ho più pensato seriamente alla situazione fino a qualche tempo fa.
Anche a Mariangelo, Mariangelo del premio non quello del vicinato, era successo lo stesso, solo con muesli croccante al cioccolato nel sottoscala. Circolava anche la leggenda metropolitana di uno che si era trovato il bagno invaso da ciotole per cani. E a tanti altri lo stesso. «Sarà propaganda», la storia delle scale non tirava più tanto.
Poi due settimane fa abbiamo scoperto che l’uomo delle ciotole esisteva veramente: ce n’ha portata una a vedere. E noi abbiamo iniziato a pensare a te, Monsieur Brel, e a questo gesto estremo da annodare alle tue vele per i posteri che imploderanno in noi ‘stasera.
Sulla ciotola c’erano i commenti degli spettatori che ridono da quando il mio bbbbbiiiiiisttttrrrriiiissssagolo aveva nascosto il fazzolettone a quadri nella manica l’unica volta che aveva indossato una maglietta estiva sopra il tutù.
All’inizio eravamo anche lusingati: spettatori extraterrestri che con tutte le meraviglie dell’universo si concentrano su noi!
La nostra dolce terra, comoda per abitudine, come un’isola con intorno spalti affollati! Affollatissimi! Per qualche giorno, respirammo un’aria di frizzante euforia e benessere: molti di noi giravano ininterrottamente per le vie distribuendo baci e inchinandosi spesso, entrambi i Mariangelo avevano preso a firmare autografi e siccome erano in due ne producevano un numero considerevole, mia suocera stampava copertine con la propria foto versione bigodini...in breve, ci sentivamo tutti delle star!
Dalle tribune ci mandarono anche un comunicato, per spiegarci che le invasioni dei nostri locali non erano da intendersi come tentativi di colonizzazione a fini di discarica, ma un modo di movimentare le nostre ripetitive abitudini.
Già questo ci solleticò l’interno del ginocchio. Poi iniziarono i problemi.
Allo stadio non c’era più nessuno che facesse il tifo per una squadra o per l’altra: ognuno si presentava con striscioni con il proprio nome. Poi iniziarono i problemi veri.
Nel corso degli anni, c’eravamo inventati storie compensatorie per giustificarci nei confronti dei nostri sogni disillusi... tirare avanti era bello comunque, ma questo meccanismo funzionava finchè nessuno, a parte l’interessato, conosceva la verità. Questione di orgoglio, io l’avevo messo in chiaro subito, con Dio.
E le smorfie che uno faceva da solo nel bosco o verso il cielo, per sfogare i muscoli facciali. In solitudine, però.
In breve, tutto piombò nella crisi, soprattutto perchè la nostra sola speranza vivificante, la promessa di una carriera a canale hehe non rappresentava più nulla di speciale.
Monsieur Brel, non fu tutto qui.
Tu sai, non può esserci il sole arido e sterilizzante per sempre. Riiniziò a piovere quando costringemmo tutto nell’ottica del progresso: quanto materiale per campagne pubblicitarie e autobiografie di dive!
Solo che le autobiografie erano troppe e ognuno finiva per leggere solo la propria.
Insomma, capisci perchè ti preghiamo di concederci un ballo con la morte, monsieur?
Non si tratta tanto della privacy. Non si può vivere senza segreti da scoprire, non riusciamo a rinunciare al pettegolezzo.
Addio, capitano.»
Secondo protagonista
« Non mi dire.»